Festa di S. Matteo – Besurica

Ef 4,1-7.11-13
Mt 9,9-13

Celebrare la  ricorrenza dei XXV anni di parroco  di don Franco alla Besurica significa sicuramente far memoria di un legame che si è creato in questo tempo tra la comunità e don Franco e viceversa. Un legame profondo. Direi molto di più di un pur importante livello affettivo. Si è creato infatti un legame spirituale, vale a dire un legame che ha come protagonista lo  Spirito Santo. Un legame di fede, in uno scambio di straordinaria efficacia. Una comunità plasma la sua identità anche grazie alla presenza dei suoi pastori. E il credente-pastore viene modellato nella comunità a cui è inviato, nella chiesa locale, nel presbiterio. Per questo la celebrazione che viviamo non può che essere, da parte di tutti, una grande eucaristia (cioè un rendimento di grazie). Il sentimento che prevale stasera è quello della gratitudine. E, per evitare ogni retorica, la gratitudine anche dentro alle fatiche che ci possono essere state e che possono condire la relazione pastorale. D’altra parte S. Paolo l’ha raccomandato: “sopportandovi a vicenda nell’amore”. Sottolineiamo “nell’amore”, piuttosto che il sopportarsi.
Ci  lasciamo comunque condurre dalla Parola di Dio che il Signore ci sta donando in questa festa di S. Matteo, apostolo ed evangelista.
La prima lettura, tratta dalla lettera di S. Paolo agli Efesini, è attraversata da una sequenza  martellante dall’aggettivo “solo/a” (“un solo corpo…..un solo spirito….. una sola è la speranza…..un solo Signore….una sola fede…un solo Dio e Padre”). E’ il richiamo forte all’unità, al superamento delle molteplicità che sembrano sempre più dominare la cultura che respiriamo. Prevale l’individualità sull’unità.  Il cristiano è colui che si pensa a partire dal solo Dio-battesimo-fede…per costruire un solo corpo (Chiesa), per vivere della medesima speranza.
E questo -ricorda l’apostolo- non è uniformità. Tutt’altro. Perché alcuni sono posti come apostoli…profeti…maestri…e i diversi carismi e ministeri sono dati per giungere all’unità.
Dall’unica origine sono originate le differenze. Io sono a servizio dell’unità. Ciò che mi è affidato è per far crescere la comunione. E questa è la preoccupazione e su questo ciascuno deve verificarsi.
Questo è il cuore della vita cristiana. Nel vangelo troviamo il racconto della chiamata di Matteo. Non può non sorprenderci che un apostolo-evangelista sia presentato con tanto realismo: Gesù è andato a prenderselo dietro il banco delle imposte. Non era lì per caso. Non c’è nessuna giustificazione o attenuante. Lui stesso non si vergogna a riconoscerlo: ero tra i peggiori peccatori! Al soldo dei romani e al soldo dell’avarizia.
Gesù lo chiama gratuitamente per liberarlo dalla sua condizione. Spesso dimentichiamo che il Signore non ha bisogno di me. Sono io che ho bisogno di Lui e della sua misericordia.
 Vorrei raccontarvi un aneddoto del nostro cammino a Santiago. Padre Fabio, l’assistente nell’accoglienza  dei pellegrini italiani, all’inizio della stessa si è espresso così: “diamo il benvenuto ai peccatori che vengono da Piacenza!” Come? Confesso che immediatamente mi ha disturbato l’essere chiamato peccatore. Ma non è la verità? Eppure fa specie   sentirsi chiamati in questo modo. Ma è una cosa straordinaria: Gesù ci guarda oltre la nostra condizione di peccato. Non ci identifica con il nostro peccato.
Lungo il cammino il Signore Gesù ci salva ogni volta che ci chiede di lasciare (con decisione) il nostro banco di imposte (=ciò che facciamo per trarne dei vantaggi). Per consegnarci a Lui.
 “Seguimi!”: Gesù lo ripete oggi a me, a don Franco, a questa comunità, a ciascuno. Perché lungo il cammino corriamo il rischio di riappropriarci della vita e di metterci a sedere non alla mensa della misericordia, ma al banco delle imposte che facciamo pagare agli altri. Il Signore ci doni la grazia di lasciarci guardare dal suo sguardo di misericordia che è capace di manifestare un amore gratuito e di predilezione. Dentro il nostro peccato.