Pro 2,1-9

Col 3,12-17

Gv 17,20-26

 

Stiamo celebrando la memoria di un grande santo, Benedetto Abate. E questo titolo esprime insieme al riconoscimento monastico (è il Padre del monachesimo in occidente) quella paternità spirituale di cui siamo, più o meno consapevolmente, tutti beneficiari. In lui è stata generata la tradizione occidentale del monachesimo e con essa è avvenuta una svolta epocale del modo di vivere la spiritualità cristiana.

Celebrarlo in questo luogo, con questa comunità monastica benedettina, è il modo più adeguato perché qui è custodita e alimentata quella intuizione che ci è stata trasmessa.

Certamente non sono io qui la persona più competente per tracciare la tradizione spirituale di s. Benedetto. Ma vorrei raccogliere alcune indicazioni di questa storia spirituale che possono aiutarci a dare sempre maggior qualità alla nostra vita spirituale.

  • Il valore della regola. Benedetto consegna ai suoi monaci e a noi tutti “La Regola”. Noi, generazione della spontaneità, siamo per lo più ‘allergici’ alle regole (in particolare a quelle relative alla fede), perché percepite come imposizioni che ci limitano, che non ci fanno vivere, appunto, con spontaneità. Vorremmo infatti sottostare al nostro ‘sentire’: questa è diventata la nuova regola. In realtà ci stiamo ricredendo a partire dall’esperienza dei bambini, per i quali si invoca la necessità di dare regole. Ma la cosa sembra valere per loro più che per noi. Benedetto intuisce che nella vita spirituale (ma potremmo estendere la cosa alla vita tout court) c’è bisogno di ordine. Nessuna forma spontaneistica è in grado di dare forma alla relazione con il Signore e alla vita conformata cristianamente.

Oggi più che mai, in balìa di urgenze frenetiche, di bisogni indotti, di risposte veloci da dare… c’è la necessità di darsi una regola di vita per salvaguardare ciò che non è oggetto di spinte esterne. La nostra vita interiore tende ad essere ordinariamente posticipata: c’è sempre qualcosa di più urgente da fare. Per questa ragione la vita di fede esige di essere regolata dalle priorità che decidiamo noi e che diventano percorsi che ci custodiscono nella vita spirituale (vale a dire nella vita secondo lo Spirito Santo). Dare ordine perché niente di importante sia trascurato. E perché prenda forma in noi la vita battesimale.

  • La nostra vita è liturgia. “La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi ed ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori”. S. Benedetto, e tutta la tradizione monastica, nel tempo ha posto il primato all’orazione. La giornata viene scandita dalla sequenza delle Ore di preghiera. Quando la Chiesa ha fatto propria la Liturgia delle Ore, c’è stata una reazione, una contestazione (presente anche oggi) perché essa viene ritenuta una preghiera monastica e quindi non riproponibile fuori di quel contesto. È chiaro che questa organizzazione è possibile in determinate condizioni. Ma non possiamo trascurare il valore di questa intuizione: la vita dell’uomo è una liturgia, è celebrazione di lode. Ogni ora della vita è riscattata dall’essere solo ¿¿ó¿¿¿ (cioè semplice scorrere del tempo), per diventare ¿a¿¿¿¿ (cioè tempo di grazia, tempo abitato da Dio). Riscattare il tempo, la cronaca per introdurla nel mistero di un Dio che abita la storia è compito/vocazione del battezzato. Se ci sfugge questo valore profondo del tempo, il rischio è di essere travolti dallo svolgimento della sequenza temporale. Per il cristiano il tempo ha un fine, un orientamento, lo recupera al suo interno. Compito del battezzato è di associare il tempo al mistero pasquale di morte e risurrezione, che si distende nel corso della giornata, e per questo la illumina e la salva dalla banalità.
  • Ora et labora. Il lavoro non apparteneva alle attività nobili dell’uomo. Era degli schiavi e delle classi socialmente più povere. Chi era nobile si dedicava all’otium, perché poteva disporre di benefici che gli permettevano di vivere di rendita. Ma l’otium – scrive Benedetto – è nemico dell’anima. Perciò si deve dedurre che dell’anima il lavoro sia amico (cfr. RB 48,1).

Perciò il labora introduce il lavoro tra le opere che nobilitano il tempo umano. Ogni lavoro, da quello intellettuale (che a volte rischia di prevalere) a quello manuale (con il privilegio per il lavoro della terra), partecipa della azione creativa di Dio.

E non si ferma a questa affermazione di principio, mostrando di aver ben presente con il valore anche i rischi che vi sono presenti. Infatti il lavoro – raccomanda Benedetto – non può né minare l’armonia del monastero/comunità, né uscire dalla giustizia ed equità. Così Benedetto invita a misurarsi con una dimensione umana che non è né idealizzata, né demonizzata. L’atto del labora merita uguale attenzione e cura dell’altro atto, quello dell’ora. L’armonia tra preghiera e lavoro è una profezia quanto mai attuale: un invito a tutti a dare loro il giusto peso alla luce di una verità che rimane sempre nell’ora.

Chiediamo anche noi di non anteporre nulla all’amore di Cristo e di correre con cuore libero (perché povero) e ardente nella via dei suoi precetti.