Una Via Crucis un po’ strana quella che abbiamo appena concluso. Dov’è il cammino del Calvario per accompagnare Gesù con la sua croce? E le stazioni a cui siamo abituati?

Come ci è stato indicato nell’Introduzione possiamo dire che la prima Via Crucis Gesù l’ha percorsa lungo le strade della Palestina incontrando e sostando accanto all’umanità ferita, inferma nel corpo e colpita dalla malattia del vivere. Il primo modo di stare nel mondo del Verbo di Dio è stato di lasciarsi toccare da quell’umanità fragile che lo rincorreva e che in Lui riponeva speranza. Gesù ha anticipato la sua salita al Calvario percorrendo la Via della Croce dell’umano vulnerabile.

Non si è sottratto alla domanda di chi si aspettava guarigione e salvezza. Le attese dell’umanità su Dio, le attese di trovare qualcuno che lo sollevasse dal peso della solitudine non meno pesante della infermità stessa, si sono concentrate su di Lui. In questo cammino si è reso drammaticamente consapevole di non poter guarire tutti. Giunto anche Lui ad invitare i suoi a ritirarsi in disparte perché le folle impedivano loro di mangiare. Anche Gesù ha fatto i conti con una domanda troppo grande nel dover provvedere a tutti. C’è una invocazione di vita a cui non riusciamo a rispondere: è il dramma dell’impotenza.

Abbiamo attraversato stasera i viali dell’Ospedale percorsi ogni giorno da un’umanità che porta dentro timori e speranze, sofferenza e sollievo. Qui ogni giorno camminano uomini e donne desolati, perché i loro sono passi che separano da persone care. Viali percorsi da piedi rigati di lacrime. Tragitti che torneranno alla mente perché percorsi per l’ultima volta. Cammini di distacco. Ma sono viali e corridoi percorsi da personale che vive questi spazi come luoghi familiari, dove si consuma e alimenta la passione per la cura, diretta o indiretta. Si tratta degli odierni cirenei di tanti fratelli e sorelle. Esperti di diagnosi e terapie quanto della terapia della relazione di sostegno. Sostegno alla fiducia e alla speranza.

Stasera ci siamo invitati qui a far memoria di questa umanità, che ci appartiene anche nella stagione della vigoria fisica e della salute. Non lo possiamo dimenticare. Non lo può fare una comunità. Tanto meno una comunità di discepoli di Gesù crocifisso per condividere con il dolore la speranza che Egli sa offrire. Non lo può dimenticare chi ha responsabilità amministrativa e politica: è un dovere urgente garantire a tutti le cure possibili. Una conquista di civiltà e sociale che non ci è dato di disperdere.

Questo luogo non è uno spazio umano di delega. Neanche una comunità cristiana può delegare la presenza al cappellano di turno o ai volontari che assicurano con merito il servizio religioso, parte integrante della cura. Ogni sacerdote qui incontra quella porzione di fedeli che gli sono affidati. Qui ognuno deve trovare il tempo per far visita a familiari e vicini che vivono tempi di prova.

Ogni via doloris può diventare via crucis, perché abitata da Colui che ben conosce il nostro umano patire: l’ha condiviso per aprirlo a quell’abbandono al Padre.