Is 9,1-6 Tt 2,11-14 Lc 2,1-14

Il Dio che in questa notte prende dimora tra noi, il Dio che professiamo Signore del cielo e della terra, entra per la porta di Betlemme, una borgata periferica, nella debolezza, fragilità e vulnerabilità di un neonato. E a completare il quadro, tutt’altro che glorioso, il bambino viene deposto in una mangiatoia, perché per loro, viene quasi sussurrato, non c’era posto nell’alloggio. Possiamo immaginare che anche Giuseppe sia stato vittima di questa situazione: un padre che non riesce ad offrire un’adeguata sistemazione alla sposa e al bambino che sta per nascere. Giuseppe incarna tutti quei padri che ancora oggi sono impotenti nel poter garantire condizioni di vita ai loro figli. Che si sentono inadeguati. In colpa. La gioia è mescolata (spesso) con la mestizia.

Dobbiamo pensare che non c’è stato un deliberato rifiuto di Gesù, il Figlio di Dio. Semplicemente non si è trovato posto ad una coppia di estranei che era per strada. La cosa si è complicata perché quella donna stava per partorire un figlio che era stato annunciato essere Figlio dell’Altissimo. Ma chi lo poteva sapere? Se fossero stati avvertiti, se si fosse presentato con tutti i suoi titoli, altroché si sarebbe trovato un posto! Un posto di riguardo. Qualcuno si sarebbe potuto così potuto vantare di aver dato accoglienza addirittura al Cristo!

Invece nell’Incarnazione c’è un Dio che non dà preavviso, né di orario né di luogo. Allora come oggi. Viene in modo inaspettato, impensabile.

La cosa inquieta. Perché io sarei stato tra coloro che non gli avrebbero trovato un posto. Io sono tra coloro che ancora oggi non riescono a trovare un posto a tanti che bussano: arrivano sempre nei momenti più inopportuni. “Non si può mica accogliere tutti?!”.  

E ciò che aggiunge inquietudine è che questo Signore neppure se la prende; inquieta che non rinunci a nascere perché “questi non se lo meritano!”; che non torni quando è più grande a chiedere conto perché non c’è stato di meglio per lui di un ricovero tra gli animali.

A ben pensarci inquieta perché non possiamo sapere quante volte sia passato e quante occasioni abbiamo perduto per essere illuminati e riscaldati dalla sua luce. Non sapremo le opportunità che non abbiamo colto per finire di camminare in quel buio che ci avvolge, per uscire dalla tristezza del sentirci abbandonati e soli.

Inquieta il fatto che ci stiamo abituando e rassegnando che continui a non trovare posto negli ospedali bombardati di Gaza o di qualsiasi altra Gaza della terra; che ci siano madri e padri che non hanno neppure una mangiatoia dove deporre i loro figli; inquieta che ci scivoli via il fatto che continua a non trovar posto perché non previsto, non desiderato. Inquieta cioè che Betlemme sia il luogo più diffuso nel mondo. In ogni latitudine e longitudine.

Inquieta che le relazioni siano sempre più intossicate da rancori, risentimenti, ostilità e il dono che è l’altro/a sia messo alla porta, o addirittura eliminato. Quanto spreco di grazia, semplicemente perché non riveste i panni dei nostri criteri.

Nello stesso tempo stupisce e consola che il Gesù del Natale non si arrenda alle nostre porte chiuse, perché un po’ di paglia che riscalda da qualche parte è certo di poterla trovare; come pure due mani che lo fasciano e si prendono cura le incontra. Ha molta più fiducia di quella che ci sembra di meritare.

Stupisce che si rinnovi il suo nascere tra noi, a ripeterci che non dipende da noi, ma da Lui la possibilità di salvarci.

Stupisce, ancor di più, che chieda per sé i piccoli gesti di una madre e di un padre, perché l’amore è fatto di quanto ora ci è possibile e che ci è chiesto di fare. Maria è il sacramento della medesima tenacia di quel Dio che l’ha scelta. La sua giovane età non le impedisce di trasformare lo spazio, inospitale per qualsiasi figlio d’uomo, in uno spazio umano, dove Dio possa trovare posto. In quei nove mesi è diventata madre. Maternità che sta manifestando rendendo casa quella stalla. Stupisce che siano proprio i più poveri e i meno considerati, come i pastori, a rendere umana e a riscaldare quel ricovero a loro familiare. “A quanti però l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”: i primi a diventare figli nel Figlio sono stati questi poveri pastori. Il volto della prima comunità cristiana prende forma a Betlemme. Comunità generata nell’accoglienza. Allora con lo stupore scaturisce la gioia perché c’è ancora tanta Betlemme nel mondo: casa del Bambino che fedelmente nasce e casa di Maria, Giuseppe e dei pastori che amorevolmente accolgono.

Che possiamo abitare la Betlemme giusta. Buon Natale.