Is 61,1-3.10-11

Mt 5,1-12

 

La profezia di Isaia che ha aperto la liturgia della Parola è una pagina vocazionale: una missione che il consacrato del Signore riceve a favore di un’umanità ferita, di un’umanità che ha perso la dignità, perché l’uomo perde la sua dignità quando non ha più futuro. O, quando il futuro non risulta più promettente. Un presente che imprigiona, un passato che risucchia in un vortice tolgono ossigeno al domani, annebbiano la vista su ciò che ci sta davanti.

Alla luce di questa profezia Gesù si interpreta come colui che è mandato a ridare dignità all uomo. Ad aprire futuro. Spesso questa pagina viene letta (correttamente) come una profezia rivolta al consacrato e alla sua missione. E anche oggi potremmo procedere in questo modo: ci offrirebbe squarci di missione particolarmente necessari. In un tempo assetato di speranza, da annunciare e da testimoniare.

Ma proprio perché stiamo celebrando questa Eucaristia affidandoci alla Beata Vergine Maria, Madre della consolazione, per una volta collochiamoci tra coloro che invocano consolazione. Noi, persone consacrate, non siamo diversi, non siamo in una situazione differente da quella dei nostri fratelli e sorelle, ai quali – è pur vero – siamo mandati. Possiamo e dobbiamo confessare che anche noi abbiamo bisogno di consolazione. In qualche caso a motivo della pandemia che ha sottratto drammaticamente ai nostri affetti confratelli e consorelle o famigliari. Ma penso alla consolazione invocata in quella situazione che attraversa molte famiglie religiose: segnata dalla riduzione di vocazioni e perciò di forze che non permettono più di assicurare servizi avviati da tempo, e di conseguenza dal sentimento di sfiducia riguardo al futuro del carisma stesso.

Anche tra noi c è chi vive tra la cenere di ciò che si è ormai consumato, chi veste abito da lutto piuttosto che quello della festa, chi ha in cuore uno spirito di mestizia, uno spirito accidioso, rinunciatario. A costoro si rivolge il Signore attraverso il profeta Isaia per annunciare un futuro.

Questo ci fa dire che siamo anche noi bisognosi di essere consolati come il popolo, al tempo del Profeta, che aveva bisogno di essere confermato nella speranza.

Spesso i nostri cuori risultano spezzati dentro, da una delusione devastante, indeboliti perché combattuti proprio dalla tristezza. Il cuore, se non vigiliamo, può disimparare a gioire.

Questa stagione di Chiesa e della nostra vita (personale e di congregazione), può essere ridotta alla registrazione ossessiva di ciò che non c è più? Anche noi sappiamo far solo l elenco di un umanità mutilata? O invece siamo raggiunti da una parola che scardina i legacci che ci incatenano nel nostro presente? Sapremo noi essere annunciatori di speranza se questa non ha posto dimora in noi e nelle nostre case religiose?

La pagina evangelica, oltre alla parola del profeta Isaia, ci dice che questo tempo rimane sempre il tempo delle beatitudini. Ce lo ripete anche stasera Gesù. Forse in questa nostra precisa condizione appare il carattere “scandaloso” delle beatitudini e, insieme, può manifestarsi l’irrompere di un imprevedibile che solo Gesù può annunciare.

Le vicende della vita hanno ridimensionato, quando addirittura non hanno ridotto al minimo, le energie e le preziose “opere” dei carismi. Per molto tempo il carisma religioso è stato identificato prevalentemente con le ‘opere’ che lo manifestavano. Ma la storia in realtà non ha spento il carisma, che è la consacrazione. Essa rimane ed è necessaria perché delle beatitudini testimonia che il futuro (che Dio assicura) è già qui. La vostra esistenza consacrata parla proprio di questa verità, la annuncia. La storia, con le sue profonde trasformazioni, non ha annullato la forza di santità di tanti uomini e di tante donne che hanno interpretato l’intuizione spirituale dei fondatori.

Il futuro che è assicurato dal Signore è anticipato nella vostra persona e nelle vostre comunità religiose. Vivete fino alla fine il vostro carisma. Ne abbiamo bisogno tutti. Le Beatitudini da un verso non negano il povero – il pianto – la violenza – l’ingiustizia e la persecuzione che essa continua ad alimentare… Dall altro annunciano che proprio dentro alla forza del male che queste situazioni riconoscono, si apre un futuro che solo Dio sa aprire.

A noi non basta la sopravvivenza, ci è necessaria la salvezza, invochiamo di essere rivestiti “delle vesti di salvezza”. “Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore, per manifestare la sua gloria”. C’è tanto bisogno di queste ‘querce di giustizia’: donne e uomini giusti, che ci testimoniano la solidità anche e proprio nella prova della debolezza. Radicati in Dio e perciò radicati nella speranza. Voi continuate a indicare a tutti, nella fedeltà alla vostra vocazione, la strada necessaria per non soccombere sotto il peso del presente: l affidamento a colui che apre cammini di vita anche dove all apparenza essa sembra sconfitta. Veramente nulla è impossibile a Dio.