Sir 35,15-17.20-22 2Tm 4,6-8.16-18 Lc 18,9-14

L’ingresso di un nuovo parroco è un momento carico di attese e, insieme, di domande e curiosità. Verso il parroco c’è un carico di attese personali e comunitarie, unite, comprensibilmente, all’incognita per una conoscenza da maturare. Penso di interpretare il cuore di Don Daniele nel dire che anche per lui alle attese si assommano preoccupazioni. In particolare quando questo ministero, nella sua complessità (pastorale e amministrativa) è nuovo. Ci sono poi i legami da lasciare per avviarne altri. Non è facile lasciare il noto per l’ignoto.

Trovo efficace l’immagine, che mi è rimasta nel cuore, della formazione del Rio delle Amazzoni.  A Manaus viene originato dal confluire di due grandi fiumi: il Rio Solimoes e il Rio Negro. Ognuno con due percorsi particolari: uno dalle acque quasi nere e l’altro con acque dal colore marrone, sabbioso. Ognuno con una diversa temperatura. Questa diversità li fa scorrere per chilometri affiancati, con una separazione invisibile, molto suggestiva, per scambiarsi un po’ alla volta la temperatura così da diventare un solo corso d’acqua. E’ così la vicenda di un parroco e delle comunità che gli sono affidate. Un po’ alla volta, in uno scambio fecondo, si realizza un percorso che fa intrecciare le storie, le esistenze. Da oggi siete affidati l’uno alle altre, dentro ad una grazia provvidenziale per tutti. Ciò che si realizzerà sarà qualcosa di nuovo.

Al Convegno pastorale, invitandoci reciprocamente a coltivare fiducia, ho portato l’esempio proprio di queste vostre comunità. Nei mesi che ci distanziano dalla morte di don Luciano, con la guida di don Claudio, qui è stato avviato un cammino di comunione che, probabilmente, all’inizio appariva pieno di resistenze. Poteva sembrare una missione impossibile. Quello che ho consegnato nella Lettera pastorale, cioè che abbiamo davanti un camino di comunione, qui ha iniziato a prendere forma. Anche questo è motivo di fiducia per il futuro che ci attende.

La pagina del vangelo ascoltata ci mette all’erta da una delle forme che minacciano questo cammino: l’intima presunzione di essere giusti e il conseguente disprezzo per gli altri. Ci sono molte forme per svalutare l’altro o gli altri, tutte attingono dalla convinzione di essere al di sopra, di non aver bisogno dell’altro, di bastare a se stessi. Siamo abili nel costruirci un castello di auto-giustificazioni per rimanere schiavi nelle nostre abitudini e chiusure.

La comunità cristiana è fatta, invece, di fratelli e sorelle che sono debitori di una benevolenza di cui essere sempre riconoscenti, scoprendo così che nella misericordia di Dio c’è anche il dono dei fratelli di cui abbiamo sempre bisogno. Siamo sempre mendicanti di fraternità.

La nostra fede è comunitaria. Si radica infatti nel battesimo: dono che ci è dato dalla Chiesa, nella Chiesa e per la Chiesa. A tutti è affidato (dentro e al di sopra delle cose da fare e dei servizi da offrire) il servizio alla comunione. Il vangelo ci ricorda il mandato missionario, che altro non è che la forza di includere tutti, di sentirci partecipi di una storia di amore.

A don Daniele non va data alcuna delega (“fai tu!”) né va delegato nessun altro, anche se non tutti devono fare tutto. A nessuno è permesso di stare alla finestra, magari ad aspettare errori o insuccessi di cui godere (“l’avevo detto io”). A ciascuno piuttosto il dovere di offrire quel poco che ha (5 pani e 2 pesci) per il bene di tutti. Di ogni comunità e del vangelo.