È opportuno fare, nella fede, un esercizio di purificazione dello sguardo verso il crocifisso. Lo sguardo abitudinario su di lui può assuefarci al carattere scandaloso della croce. Gesù, il Figlio di Dio che si è fatto uomo, viene messo a morte passando per un calvario, espressione emblematica per descrivere una morte tribolata e particolarmente dolorosa.
Forse nel nostro immaginario ci può stare che un uomo muoia per Dio, qualcuno che si sacrifica per un ideale o per qualcuno. Ne siamo ammirati e lo giudichiamo come un alto esempio di eroismo. Ma se, come è successo, la prospettiva è capovolta, cioè che a morire è Dio per gli uomini, per ogni uomo, indifferentemente dalla sua condizione morale o religiosa, allora la cosa non può non disorientarci. Se ci pensiamo bene. Prima di tutto perché in noi c’è una lotta congenita, istintiva si direbbe, per la sopravvivenza. C’è una lotta con questo nemico reale e subdolo insieme che è la morte. Più precisamente il morire, quello che riguarda ciascuno di noi, è la causa di tanta paura, di angoscia e motivo di scelte, le più disparate, per illuderci di allontanarla. Dio nel nostro immaginario è Colui che dalla morte è preservato. Egli invece la fa entrare nel suo mistero eterno di Amore.
Oggi si rivela, nel senso che è tolto il velo, il volto di Dio e la misura del suo Amore. Un paradosso: Dio prende così sul serio la nostra condizione mortale da condividerla fino in fondo, perché essa non sia percepita come abbandono, come un essere lasciati in balìa della morte, della fine.
“È compiuto!”. Che cosa? È compiuto il destino del Verbo fatto uomo. È compiuto il mistero dell’iniquità che ha raggiunto il suo culmine, colpendo il Figlio di Dio stesso. È compiuto il mistero dell’abbassamento di Dio. È compiuta l’obbedienza nell’Amore. È compiuto il manifestarsi della nostra salvezza. Nella croce tutto è al suo culmine.
Qui è raccolto tutto l’Amore che dall’Eternità Dio ha riservato per ciò che ha creato e tutto il Creato ricomincia un percorso di unificazione in Cristo.
Non ci resta che l’adorazione (alla lettera il portarsi la mano alla bocca) nel silenzio che si impone, in un silenzio carico insieme di desolazione e di amore. Oggi è il giorno delle lacrime, del pianto. Perché se esse non sgorgano di fronte alla morte innocente, dobbiamo sospettare che in noi stia morendo l’umano. L’effetto devastante che le notizie di morti sta provocando è l’assuefazione ai numeri. Peggio ancora, stiamo assecondando la cinica narrazione che vorrebbe ridurre i morti civili a “danno collaterale” di un’operazione militare. Stiamo riducendo il dolore all’effetto mediatico: solo lo spettacolo in diretta ci provoca dolore. Intenso, ma passeggero.
Signore, crocifisso e prima ancora passato alla gogna della derisione e degli sputi, abbi pietà di noi mai completamente indignati di fronte alla tua ingiusta morte che non ha fine. Kyrie, eléison!
Signore Gesù Cristo, crocifisso e a cui prima sono state divise le vesti e tirata a sorte la tunica, abbi pietà di noi complici dello strappo della tua tunica, che è la Chiesa, Christe, eléison!
Signore Gesù, Crocifisso e diventato spettacolo davanti ai passanti distratti, abbi pietà di noi che possiamo permetterci di volgere altrove il nostro sguardo per non provare dolore, Kyrie, eléison!
Signore Gesù, che dall’alto della croce hai invocato il perdono per chi ti stava straziando e uccidendo, abbi pietà di noi corresponsabili di tanto male, anche solo con le nostre omertà, Christe, eléison!