ecco il testo del messaggio del Vescovo Adriano pubblicato sul Nuovo Giornale

Natale è l’annuncio di un fatto “incredibile”: non solo Dio c’è, ma Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazareth. Il suo nome è Emmanuele, che significa: “Dio con noi”. Lo ha ricordato anche il cardinale Matteo Zuppi, durante l’omelia pronunciata nella Cattedrale di San Pietro a Bologna, il 16 dicembre, in occasione del 40° anniversario della morte del vescovo Enrico Manfredini.
Il Cardinale ha citato l’aneddoto di quando il vescovo Enrico, scendendo le scale del seminario di Venegono insieme al compagno di studio monsignor Luigi Giussani, affermò: “Che Dio sia diventato uomo è una cosa dell’altro mondo” e don Giussani rispose: “È vero, è una cosa dell’altro mondo che vive in questo mondo, per cui questo mondo diventa diverso, più sopportabile, più bello”.
Il Natale cristiano racconta questo avvenimento che da venti secoli continua a stupire e a commuovere, a “inquietare” la nostra libertà. Così ci ricorda il vangelo: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,10-12).
Un bambino, fragile e indifeso, compimento della promessa annunciata dal profeta Isaia: “Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace” (Is 9, 4-5).
Un Bimbo volto della tenerezza del Padre e di ogni bambino, anche di quelli uccisi, dilaniati dalle bombe delle tante guerre in atto nel mondo, strappati dalle braccia delle madri e privati degli affetti familiari.
Vittime di una violenza cieca e totale, come proclamava Lamec, discendente di Caino: “Uccido un uomo per una mia scalfitura, un ragazzo per un mio livido. Sette volte fu vendicato Caino, ma Lamec settantasette” (Gn 4,23-24). Un modo di pensare e di agire che non può che generare morte e distruzione. E di tutto ciò ne siamo purtroppo testimoni. Quale speranza allora?
Quale via siamo chiamati a percorrere per attraversare questa notte e vedere l’alba di un nuovo giorno di pace? Il Natale ci chiede di contemplare quel Bambino che, divenuto adulto inviterà al perdono “fino a settanta volte sette” (Mt 18,22), proclamerà “beati gli operatori di pace” (Mt 5,9) e vivrà la scelta radicale dell’amore per il nemico: “Avete inteso che fu detto: Amerai il prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt 5,43-44).
Parole ardue, ma vere e necessarie come quelle pronunciate da Yonathan Zeingen, figlio di Viviana Silver, 74 anni, che per tutta la vita ha lavorato per la riconciliazione con la Palestina, uccisa nel kibbutz Be’er dai terroristi di Hamas il 7 ottobre scorso. “Non fate la guerra nel nome di mia madre, non bombardate Gaza nel nostro nome. La vendetta non è una strategia: bisogna negoziare, allargare il dialogo con gli altri Paesi, liberare gli ostaggi. L’unico modo per vivere in un Israele sicuro è avere la pace. Hamas ha spazzato via la mia famiglia. Ma se facciamo la stessa cosa con Gaza succederà di nuovo. I bambini palestinesi fra quindici anni ci odieranno. Dobbiamo interrompere questo ciclo di odio”.
 Il Natale ci aiuti a non dimenticare che siamo tutti fratelli e figli dello stesso Padre, chiamati ogni giorno a tessere, con l’aiuto della sua grazia, relazioni di pace, di giustizia e di riconciliazione. Perché ancora oggi possa risuonare e essere accolto il canto angeli: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). Buon Natale!

† Mons. Adriano Cevolotto
vescovo di Piacenza-Bobbio