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Mt 7,7-12

 

Non è un caso che Gesù insista così tanto sulla preghiera. E si soffermi ad insegnare a pregare. Troppo di frequente noi riteniamo di saper pregare. E troppo spesso la nostra preghiera è poco “cristiana”. Infatti tendiamo ad identificare le richieste come quelle giuste e che il Padre deve esaudire. Per non parlare di quando noi in modo dettagliato diciamo a Dio cosa deve fare. Troppo poco, forse, riteniamo che la preghiera sia una strada di conversione: conversione a Gesù e al suo cuore di Figlio. Nella preghiera di Gesù e con Lui noi veniamo trasformati. Veniamo convertiti da ciò che chiediamo. Convertiti a quello che ci viene messo in bocca di chiedere.

Nella preghiera si rivela quello che siamo, quello che desideriamo, ciò per cui viviamo. E nella preghiera si rivela il volto che abbiamo di Dio (quando c’è un volto a cui ci rivolgiamo). Come pure si rivela il volto che Dio mostra.

Non dobbiamo dimenticare che la preghiera è rivelazione: porta alla luce ciò che è nascosto. Pregare o no fa differenza. Tanta. Il modo nel quale preghiamo fa la differenza, e quanta!

A riguardo colpiscono i verbi che Gesù usa per dire la preghiera: pregare è chiederecercarebussare.

  • La preghiera dice chi è l’uomo aperto al Signore e perciò orante: è colui che invoca perché mancante, perché riconosce di non poter bastare a sé stesso. Chiedere è professare una condizione di desiderio inappagato. Si apre in noi un desiderio che non trova approdo, compimento. Ancora, la preghiera come richiesta è il modo più semplice per riconoscere che siamo donati. Siamo oggetto di un dono: e un dono non può che essere invocato. Non c’è pretesa di qualcosa di dovuto, ma mani tese per accogliere un dono. S. Paolo, a questo riguardo arriva ad affermare che “non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente” (Rm 8,26). Non solo, ma l’Apostolo ci ricorda che è lo Spirito che desidera in noi: la preghiera ci plasma sui desideri dello Spirito.
  • La preghiera è cercare. Cercare Dio prima di tutto: è mettersi in cammino mossi da un desiderio e da un anelito. La ricerca è suscitata da una promessa. Ciò che nasce nel nostro cuore, che intravvediamo come possibile e attraente, deve essere cercato. Cercare è un’azione che prevede un movimento del nostro essere, del nostro sentire, del nostro volere. Per questo motivo non c’è ricerca di Dio – di amore – di gioia… senza preghiera.

La preghiera è azione perché ci colloca fuori di noi, fuori del nostro io. Fuori di ciò che siamo già o già possediamo, di ciò che abbiamo raggiunto. È essere disposti a lasciare per trovare qualcosa di inedito.

  • La preghiera è bussare. Se c’è una porta oltre la quale passare, la preghiera richiama l’insistenza, la perseveranza: continuare a stare in quel luogo che è lo spazio esistenziale di vita non piena. Di una vita che ci fa patire. Di sofferenza.

Ma nello stesso tempo il bussare esprime la fiducia che il Signore aprirà quella porta, che c’è un oltre abitato nel quale poter entrare. Che c’è un Amore che non può lasciarci all’infinito là fuori,

La preghiera ci dà la possibilità di invocare la presenza di un altro. Non dobbiamo abbattere la porta a suon di spintoni, con la forza. Deve prevalere un’insistenza tenace e fiduciosa insieme.

 

“Il Padre nostro che è nei cieli, darà cose buone a quelli che glielo chiedono” e aveva aggiunto “che il Padre vostro sa ciò di cui avete bisogno, prima che glielo chiediate”.

Fidarsi di queste parole di Gesù significa credere che ciò otteniamo dalla preghiera è veramente ciò di cui abbiamo bisogno: è fiducia che il Signore provvede. Il frutto della preghiera, in questa relazione di fiducia nell’amore del Padre, è allora rivelazione che, al di là di ciò che chiediamo, Egli ci assicura il necessario per la nostra vita, per il mio presente e per il mio futuro.