N.S. di Lourdes
At 14,21-27 Ap 21,1-5 Gv 13,31-35
È un momento di grazia quello che stiamo vivendo, non solo per Pietro che riceverà lo Spirito che proviene da Gesù servo, ma per l’intera comunità diocesana, oltre che per quanti hanno condiviso il suo cammino di vita e di fede, il suo cammino vocazionale. Con l’ordinazione diaconale Pietro viene introdotto nella vita e nella persona di Gesù che dona la sua vita, che si piega a lavare i piedi impolverati dei discepoli, che fa dell’esistenza una porta di accesso al cuore del Padre. In questi mesi di servizio alla Caritas, a contatto con l’umanità più fragile e marginale del nostro territorio e della nostra città, Pietro ha toccato con mano le qualità necessarie del servizio, in un certo senso si è messo alla scuola dei più poveri, per imparare a servire.
La liturgia della Parola che abbiamo ascoltato in questa V domenica di Pasqua ci offre l’altra scuola, quella della Parola, da cui apprendere l’orizzonte dell’essere servi, cioè del prestare sé stessi perché si manifesti l’amore di Dio.
- Abbiamo sentito dal racconto degli Atti che “Paolo e Barnaba ritornarono ad Istra, Iconio e Antiochia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede”. Il servizio nel nostro immaginario è associato alla carità, al soccorrere chi è nel bisogno, chi è privato di condizioni essenziali di vita. La Parola di Dio, oggi, ricorda che tra ciò che è essenziale alla vita degli uomini c’è anche la fede. Si comprende perciò perché diventi prezioso quel “confermare i discepoli esortandoli a restare saldi”. In certe fasce di età, in certi contesti, in certi momenti della vita, la povertà della fede ci può e ci deve occupare. E’ un vero servizio alla vita delle persone.
L’essere servo, che si affida nella tribolazione al Signore, è testimoniato prima di tutto con la propria persona, e allora il servizio è anche quello di stare accanto, testimoniando il proprio radicamento a Gesù. Ecco un altro tratto dell’essere servo, cioè del servizio, che ti è affidato, Pietro.
- Abbiamo poi sentito la pagina dell’Apocalisse, che ci ha descritto lo sguardo di Giovanni, l’Apostolo, che sa vedere “un cielo nuovo e una terra nuova”. Perché “il cielo e la terra di prima erano scomparsi, e il mare non c’era più”. Questi pochi versetti, in un linguaggio metaforico, ci descrivono un futuro che scende dal cielo, che riceviamo in dono da Dio, sulle ceneri di ciò che non c’è più. E’ un secondo ambito in cui esercitare il servizio oggi. L’Apostolo vede questo futuro, lo riconosce e lo annuncia. Quanto siamo affamati e assetati di speranza e quanto siamo miopi da non vedere quel cielo ‘nuovo’ e quella terra ‘nuova’. C’è bisogno di un vero e proprio servizio alla speranza, che non è sterile ottimismo, illusoria ripetizione di quello che ci siamo detti qualche anno fa: “andrà tutto bene”. La speranza è piuttosto la capacità di riconoscere i segni e le novità che appaiono all’orizzonte. Tale servizio passa attraverso i nostri occhi che scrutano il nuovo di Dio, il nuovo della sua opera. C’è un forte bisogno di un servizio alla speranza, c’è bisogno di piantare con Dio la tenda della prossimità. Un’immagine per te molto cara, Pietro, di piantare la tenda. E’ motivo di speranza proprio il piantare con Dio la nostra tenda in mezzo agli uomini; essere servi di un Dio che abita con questa umanità, oggi, senza condannarla, ma semplicemente amandola. E’ anche questo il grande servizio che ti ho chiesto.
- Infine, la pagina evangelica ti consegna la terza forma di carità, di servizio. Ancora una volta una novità, in questo caso un comandamento: “vi do un comandamento nuovo”. Gesù identifica la novità del comando che ci dà con la misura del suo amore. La novità del comandamento sta in quel: “come io ho amato voi”. Vivere la dismisura dell’amore di Gesù è la condizione, la sorgente della possibilità, dell’amore che Lui ci ha chiesto per essere suoi discepoli. E’ interessante che Gesù non chiede l’amore verso Lui come elemento riconoscibile dell’essere suoi discepoli. Come risposta al suo amore per noi comanda che ci amiamo gli uni gli altri, in una preziosa e necessaria reciprocità: amare ed essere amati. Qui raccogliamo il terzo ambito del servizio diaconale. Gesù ti affida la diaconia della fraternità. La fraternità si serve non a partire da noi stessi, ma a partire da Lui, nel ricentrarsi continuamente nel suo amore pasquale. Si tratta di un lungo cammino, che chiede di combattere, prima di tutto, la presunzione di essere arrivati, di essere capaci. In tal caso ritorneremo ancora una volta a pensare di essere noi il criterio dell’amore, la misura dell’amore. Non il suo amore crocifisso.
La prima palestra è dentro al presbiterio, dentro alle relazioni con gli altri diaconi e con i presbiteri. Deve essere un esercizio di relazioni fondate sul volersi bene, sul costruire fiducia, sul costruire l’unione. Il primo esercizio da fare è di amarsi reciprocamente, di lavarsi i piedi gli uni gli altri, sapendo che i piedi impolverati sono il segno delle nostre debolezze, ma anche il segno di tutto il cammino nella storia e nel nostro servizio. I piedi si sporcano sulle strade della vita e con il sudore delle fatiche del ministero.
Ecco, Pietro, ti è consegnata questa guida dell’essere a servizio, in questo nostro oggi della storia, in questa nostra stagione ecclesiale. Allora chiediamo al Signore che ci doni, doni a tutti, prima di tutto al nostro presbiterio e alla nostra comunità diocesana di viverti come un dono, non come semplice ‘forza lavoro’, che si aggiunge per alleggerire il carico del nostro lavoro pastorale, ma come un fratello che ci è affiancato nel cammino del vangelo.