Is 7,10-14; 8,10c

Eb 10,4-10

Lc 1,26-38

La Solennità dell’Annunciazione del Signore è la celebrazione dell’inizio dell’Incarnazione del Verbo. È vero che risuona quel “sì” di Maria, quel fiat che è l’inizio, il conto alla rovescia del pieno manifestarsi della misericordia di Dio nella storia. Ma come ci ha messo davanti la pagina della lettera agli Ebrei, c’è un altro “sì” dal quale tutto proviene, che origina ogni altro “sì” che sale dall’umanità raggiunta da Dio. È quello di Cristo che pronuncia, all’interno del mistero, della relazione trinitaria, quelle parole: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”. “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato”.

È in quel ‘corpo preparato’ che avviene l’esistenza offerta, donata e gradita a Dio. Ed è straordinaria questa strada dell’obbedienza della fede, del dono di sé, della consacrazione di una esistenza religiosa. La nostra/la tua consacrazione avviene nella tua, nella nostra umanità (di uomo, in un corpo maschile; di donna, in un corpo femminile). La volontà di Dio è affidata a questo corpo!

“Tu mi hai preparato un corpo”.

Il corpo (che è la nostra concreta umanità) ha una storia (è frutto di un intreccio di relazioni, dell’incontro di famiglie da cui proveniamo). Una storia che ci ha plasmato; è segnata dal DNA che ci caratterizza e caratterizza perciò il dono che possiamo essere e la fede che riusciamo a vivere e testimoniare…

La nostra consacrazione vive di tanto patrimonio ricevuto e che non dipende direttamente da noi. Ma questo corpo non è qualcosa di statico, la nostra umanità ha avuto le sue fasi (dell’infanzia, della giovinezza, dell’adultità, dell’anzianità), le diverse energie (forza, vigore, debolezza, fragilità). Ed insieme l’umanità che siamo è figlia delle nostre decisioni e della grazia che ha operato fin dal nostro battesimo.

È vero: nel nostro ‘corpo’ c’è tanto, intreccio di percorsi con un risultato unico.

A volte ci meravigliamo affermando: “non sono più lo stesso/a”, “non sono più io…”. Invece sono sempre io, in un’edizione nuova, dove il mio sì è richiesto in modo nuovo e per questo originale. Proviamo a pensare a Maria: il “sì” dell’annuncio non è quello pronunciato sotto la croce, né quello dopo la Pasqua nel Cenacolo a Pentecoste. Il contesto esistenziale, umano, di fede che scandisce i momenti diversi dell’esistenza dà forma alla nostra vita di fede, alla nostra consacrazione.

Ma in quel “tu mi hai preparato un corpo” c’è anche il corpo che è la Chiesa, che è la comunità cristiana che mi ha generato alla fede grazie ad una testimonianza credibile, che mi ha affascinato e che ha reso possibile il primo “sì”.

In quel ‘corpo preparato’ c’è una comunità religiosa, un carisma che ha preso forma prima di me e che ho ricevuto. Quella realtà che a mia volta ho contribuito a far crescere, con la mia presenza e testimonianza. Essere parte di un corpo ecclesiale è una delle ragioni della nostra forza e speranza. Ciò che accogliamo come vero e promettente nella nostra vita, ciò che ci è affidato nella vocazione che riconosciamo è grande cosa. Ma nello stesso tempo il dono che si fa compito è custodito dentro ad una comunità abitata e guidata dallo Spirito del Signore Risorto. Egli infatti ha assicurato di non lasciarci soli, orfani.

Celebrare oggi come Chiesa, come comunione di Istituti-congregazioni-famiglie religiose, gli anniversari di professione ci permette di richiamare il contesto vitale di ogni chiamata. Di ogni “sì”. Il contesto, meglio l’ossigeno di ogni vocazione è la comunità che ci abbraccia.

Affidiamo a Maria, la donna del “sì”, la donna dell’abbandono fiducioso, tutti i “sì” pronunciati e quello da pronunciare. Affidiamo il ‘corpo’ nel quale questi “sì” sono stati pronunciati e potranno essere rinnovati. L’unicità di ogni nostra umanità è la conferma che Dio nella sua chiamata permette a ciascuno/a di poter diventare volontà di salvezza per ciascuno e per il mondo.