At 9,31-42

Gv 6,60-69

 

Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Sono i discepoli (molti – sottolinea il vangelo) a dire a Gesù questo. Quante volte la parola di Gesù risulta così dura da non considerarla in partenza: “è impossibile! Non fa per me! Che la vivano gli altri prima (preti – vescovi – papa)!”.

È la reazione che nasce dalla poca fiducia in una Parola che porta con sé anche la forza, la potenza di operare ciò che a me/noi appare impossibile, irrealizzabile… non alla nostra portata.

Tra le parole dure che oggi suonano stonate ai nostri orecchi c’è sicuramente la parola “Provvidenza”. È stonata rispetto al programmare – prevedere – progettare – premunirsi… tutti verbi a cui si antepone una preposizione che vuole anticipare, vedere, calcolare prima le cose. Le spese e le risorse… la convenienza e l’imprevisto calcolato… le garanzie e l’assicurazione che mette al riparo da ciò che può capitare.

La Provvidenza su cui contare è la rinuncia ad essere noi i protagonisti del nostro agire e del futuro verso cui ci inoltriamo e aneliamo. Ma in definitiva escludere la possibilità che intervenga la Provvidenza in un’opera o nella vita è appropriarsi di quell’opera sottraendola a Dio. Perché se è Sua chi si deve preoccupare è il Signore. Se al contrario dipende da me diventa una questione personale e mi devo pre-occupare di tutto ciò che può accadere. Affidarsi alla Provvidenza permette al nostro agire di essere liberato dall’ansia del risultato. Don Giuseppe Busani nell’Introduzione al volume di Federica Villa “Più sono poveri, più sono nostri”, scrive: “Chi si affida alla Provvidenza scopre il segreto della sapienza del vivere. Il sapiente non vive di certezze, ma di fiducia, di speranza” (p. 6). Vivere di fiducia e di speranza è vivere un po’ da folli. Ma sicuramente da persone libere e aperte all’imprevedibile e alla novità.

Essere qui stamattina a celebrare i 100 anni di un’opera della Provvidenza è una conferma che qualche “folle di Dio” c’è ancora e che la cosa… funziona. È il paradosso della piccolezza e dell’umiltà capaci di ottenere cose grandi. Basti solo pensare al numero di suore con le quali mons. Torta ha iniziato la sua opera e la sproporzione delle risorse rispetto alla consistenza del problema dell’infanzia abbandonata, dei sordomuti, dei ciechi. Ma il contare su un Altro ti risparmia dal contare sulle tue forse e su quello che oggi hai a disposizione. Sarà sempre e comunque poca cosa (“… ma che cos’è questo per tanta gente?”, Gv 6,9b).

Ecco, la fiducia nella Provvidenza è una duplice professione: che se Dio è Amore, noi e ogni cosa siamo rivestiti di amore. Tutto ciò che Dio ha creato è custodito dall’Amore, dall’Amore di Dio che tutto può. A cui niente è impossibile. Noi tutti viviamo già e da sempre di un’eccedenza di Amore provvidente.

In secondo luogo, quando ci si affida alla Provvidenza si professa che il nostro essere in Dio fa sì che diventiamo, molto spesso a nostra insaputa, strumenti della Provvidenza. Non necessariamente per quello che immaginiamo di dare e che sottilmente quantifichiamo. Ma diventiamo provvidenziali presenze in un momento preciso, parola o gesto che provoca o consola, intervento invocato. Diventiamo Provvidenza che solo l’altro sa riconoscere e gustare e che magari noi non conosceremo mai.

Cento anni di un carisma come quello delle Suore della Provvidenza per l’infanzia abbandonata potrebbe essere un lungo elenco di gesti, di sorrisi, di cura, di miracoli di amore. Elenco di miracoli che prolunga quelli operati da Gesù e dai suoi discepoli, come quelli raccontati dalla pagina degli Atti appena ascoltata. Pietro ne compie due (in realtà è in nome e per forza di Gesù che allora come adesso i miracoli avvengono). Entrambi raccolti in quel comando: “Alzati!”. Un verbo che richiama la dignità della persona che è tale quando si alza e cammina. Ma ad Enea, da otto anni paralitico su una barella, Pietro rivolge un invito almeno bizzarro: “… e rifatti il letto”. Prenditi cura di te, smettila di vivacchiare disteso sui tuoi alibi… Riprendi il desiderio e la volontà di servire e non di farti servire. Lo puoi fare: perché Gesù Cristo ti guarisce. La Provvidenza è l’irrompere di Dio che ci riconsegna alle nostre responsabilità. E grazie ai fratelli e alle sorelle della Provvidenza. Non solo le suore di mons. Torta sono sorelle della Provvidenza. Loro ci ricordano che lo siamo tutti e tutte.

Allora vorrei concludere dicendo un grazie riconoscente per questo dono ispirato dal Signore, che non è tanto nelle opere compiute, il cui numero è impossibile elencare, ma dalla regola d’oro che le ha animate: la fiducia nella Provvidenza. Una prospettiva così dolce da risultare tuttavia ancora una parola dura da ascoltare e da fare nostra. Ma come Simon Pietro stamattina ripetiamo: “Signore, da chi andremo?”. Questa è veramente parola di vita eterna. Come non rischiare di affidarci al Tuo Amore Provvidente?