In questa prima Messa Crismale come Vescovo al sentimento di gioia si unisce la trepidazione. Ci sono infatti dei momenti dove è più forte la consapevolezza dell’essere Vescovo. Senz’altro questa celebrazione, nella sua singolarità, esprime con forza il legame sacramentale tra il Vescovo e il presbiterio. E, insieme, la responsabilità di dare forma concreta al legame sacramentale. C’è un potenziale di grazia che non ci è permesso di mortificare. Al contrario, per il bene di ciascuno e della comunità cristiana e perciò del Vangelo, il vincolo nello Spirito Santo deve poter realizzare esperienze di fraternità e stili di vita che parlino di Vangelo.

Con il rinnovo degli impegni assunti con l’ordinazione siamo riconsegnati da capo all’inizio del nostro ministero. Pur disteso in diversi decenni, ci accomuna lo stesso identico impegno di fronte al Signore, al Vescovo e alla comunità cristiana. Tale inizio è un evento vocazionale. Il Rito di ordinazione lo esprime chiaramente con l’appello iniziale: ciascuno è chiamato per nome e risponde con quell’“Eccomi” evocativo di tante e varie vicende vocazionali che attraversano la Scrittura. Ciascuno di noi ha riconosciuto una chiamata del Signore ed è in forza di quell’iniziativa di benevolenza del Signore (che -diremmo con l’Apostolo- “…mi ha giudicato degno di fiducia”) che siamo certi di essere all’interno di un cammino di grazia. Se vogliamo che la grazia continui ad operare in noi, dobbiamo rimanere ancorati nella prospettiva vocazionale.

Quando l’abitudine o le fatiche pastorali possono intiepidire il ministero è indispensabile recuperare forza proprio in una relazione viva con il Signore Gesù che continua a chiamarci a seguirlo e ad andare. Il momento storico che stiamo vivendo sta producendo conseguenze anche sullo stato d’animo di noi pastori. A volte abbiamo occasioni per riconoscerle e per condividerle nella fraternità, in alcuni momenti di formazione e nel ritrovarci tra sacerdoti e diaconi. Altre volte i motivi di stanchezza o di mancanza di motivazioni rimangono inespresse e può farsi strada una pericolosa forma di accidia. Questo male ‘oscuro’, come qualcuno l’ha chiamato, è conosciuto fin dai Padri del deserto, molto attenti al cuore del discepolo che nel bel mezzo della giornata della vita o del ministero può trovarsi nel desiderio di essere altrove e tutto ciò che è motivo delle sue occupazioni perde senso e arriva a diventare insopportabile. Le fughe in un altrove possono essere di vario genere, con la perdita della passione per le persone e per la missione che ci sono affidate.

Non credo dobbiamo arrivare alle forme estreme per preoccuparci, alle quali mi auguro non si arrivi facilmente. In questo giorno è doveroso interrogarci sullo spirito che troviamo in noi: è opportuno verificare il gusto e la consistenza del nostro rapporto con il Signore, con la sua Parola. Non si tratta di un generico sentimento ma di quella che papa Francesco chiama “la gioia del Vangelo”. Se questa gioia c’è in noi, riusciamo anche a trasmetterla. Ed è la gioia che riesce a far nascere il desiderio in chi ci incontra di accogliere la novità di Gesù. Chiediamo questa grazia e preghiamo gli uni per gli altri perché non perdiamo la gioia del vangelo.

Siamo stati scelti per essere mandati. È stato, e continua ad essere, motivo di stupore l’essere stati inviati per prenderci cura dei nostri fratelli. Ho già avuto modo di sottolinearlo nel ritiro di inizio quaresima: non dovremmo mai smettere di meravigliarci per la fiducia che il Signore ha riposto nella nostra persona affidandoci ciò che ha di più caro. Le comunità, gli uomini e le donne, la fede e il Vangelo di Gesù Cristo sono e rimangono ciò che egli ha di più prezioso.  Ma nessuno è mandato da solo. Non ci è affidata una missione impossibile, da affrontare da guerrieri solitari. Continuiamo ad essere mandati due a due. Fin dall’inizio con strumenti poveri. Non possiamo nasconderci che in questa stagione alcune resistenze alla novità del Vangelo siano più forti. Come pure che il nostro ruolo sia meno riconosciuto socialmente e, per alcuni versi, più caricato di aspettative rispetto al passato più recente. Ma è anche vero che accanto a noi è cresciuto un laicato formato e desideroso di partecipare alla vita e alla missione della comunità cristiana. È vero che la pandemia ha prodotto lontananza, abbandono della pratica sacramentale in certe fasce di età, ma si intravvedono segnali di domande, la ricerca di riferimenti forti che dobbiamo saper intercettare. Anche questo tempo è tempo di grazia. Discernere questo tempo è prerogativa degli uomini spirituali, cioè di chi si lascia condurre dallo Spirito Santo. Chiediamo di saper essere nuovi anche noi, di non rifugiarci nelle cose che abbiamo sempre fatto. Non continuiamo a misurare la realtà e le persone con il metro consueto: partiamo da quello che oggi c’è. Non da quello che non vediamo più!

Oggi mi rivolgo in modo speciale a voi, cari presbiteri. La forza dello Spirito santo ha il suo humus fertile nel nostro essere presbiterio. Uniti certamente dal vincolo sacramentale, dalla medesima vocazione, ma, insieme, affidati ad una missione condivisa. Veniamo da un’idea molto individualistica del ministero pastorale: ciascuno era portato a pensare alla ‘sua’ parrocchia o alle ‘sue’ parrocchie. Il progetto delle Comunità pastorali (che magari dovremmo fare più nostro) prevede una conversione prima di tutto del nostro pensarci preti. Ci è affidata una comunità cristiana, articolata in parrocchie, insieme a qualche altro sacerdote. La conversione pastorale (a cui ci invita papa Francesco) richiede insieme una conversione presbiterale. Conversione di comunione e di corresponsabilità. So bene che nel tempo le relazioni tra noi presbiteri si possono incrostare di fatiche relazionali, di pregiudizi, di qualche risentimento, di recriminazioni. Per questa ragione abbiamo bisogno di purificare, con l’aiuto del Signore, la nostra memoria, mediante cammini di riconciliazione, percorsi che ci permettano di recuperare la stima reciproca, di strade che ci conducano alla paziente valorizzazione di ciò che ciascuno è. Se il Signore ha scelto ciascuno di noi, evidentemente c’è un motivo. Siamo consegnati gli uni gli altri come un dono, per il bene nostro e della comunità. Proviamo a guardarci come risorse per la causa del vangelo. Nella carità, prendiamoci carico l’uno dell’altro. In uno spirito fraterno lasciamoci aiutare a vivere la fede e la speranza in questo nostro tempo. Siamo, e con l’aiuto dello Spirito dobbiamo essere, custodi dei nostri fratelli!

Oggi più che mai c’è bisogno di padri, c’è bisogno di fratelli, c’è bisogno di testimoni gioiosi di Gesù. C’è bisogno di discepoli che, per lasciarsi guidare unicamente dall’amore per i fratelli e non da interessi umani, sanno osare per intraprendere cammini nuovi che lo Spirito del Signore ci indicherà. E perciò c’è bisogno di docilità e di umiltà. Chiediamo oggi questa grazia.

E voi, cari fratelli e sorelle in Cristo, sosteneteci con la preghiera, incoraggiateci e richiamateci quando dovessimo cedere alla mediocrità. Con pazienza e carità.