Ml 3,1-4

Eb 2,14-18

Lc 2,22-40

È una festa dove prevale la luce. È una festa di luce quella nella quale la liturgia ci immerge. Immaginiamo, per essere aiutati a prendere coscienza, di essere in una condizione di buio e perciò di paura. Se irrompe la luce, si allarga il cuore, si prende coraggio e si vedono i contorni delle cose, delle persone, dei cammini da intraprendere (cfr. le parole del vecchio Simeone: è un respiro profondo di chi viveva in apnea, come dire “Ah, finalmente!”). “Ora lascia…” è confessare di non avere più niente da attendere. Tutto è compiuto. Quello che di Giobbe dice la Scrittura: “morì, vecchio e sazio di giorni”.

In queste due figure, che troviamo all’inizio del vangelo secondo Luca, la Chiesa riconosce coloro che consacrano la loro persona ed esistenza al Signore. E che stasera sono qui a riaffidare il desiderio e la volontà di appartenere totalmente al Signore. Ed è singolare, se vogliamo vedere, che la consacrazione sia così multiforme. Conferma che lo Spirito Santo è capace di rinnovare sempre di nuovo le modalità di consacrare la propria esistenza. Doni, carismi che la Chiesa riconosce nella loro autenticità perché ad essi attinge per dire sé stessa: una comunità di discepoli connotata da diverse vocazioni.

È Cristo la luce del mondo ed essa, “riflessa sul volto della Chiesa”, può e deve illuminare gli uomini. Tutti. Destinatari del vangelo (cfr. LG 1). La luce di Cristo si riflette sul volto della Chiesa, sul volto di tutti, di ogni vocazione. È la sua luce che deve riflettere su di noi: ci raggiunge e poliedricamente si può diffondere. Non ci è dato di trattenerla, né tanto meno di assorbirla. Neanche la luce di Cristo può essere sprecata. In realtà solo se riflettiamo Lui la nostra vocazione diventa espressione della sua gloria.

L’altro tema presente in questa liturgia è quella della purificazione: la luce che è Gesù entra e purifica le nostre persone, le nostre vocazioni, le nostre comunità.

Vorrei raccogliere da questi due santi credenti alcune caratteristiche che possono ‘purificarci’. Due esempi di come sia possibile continuare a coltivare un sogno. Sono la conferma che i desideri li alimenta il Signore, grazie ai “luoghi” che abitiamo.

– Simeone e Anna sono due persone anziane (anche se questo è detto esplicitamente solo di Anna). Ma entrambi coltivano in cuore un’attesa. A ricordarci che il tempo può soffocare ogni attesa (sotto il macigno dei nostri “ormai”) oppure può alimentare l’attesa. Se come Simeone si aspetta ‘la consolazione di Israele’, allora l’attesa non sarà vana (“lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo Signore”). Ecco la persona ‘spirituale’ (= condotta dallo Spirito Santo): chi è rivolto al futuro, chi gli va incontro. C’è un’immagine più bella della speranza di questo uomo che con un gesto tenerissimo tiene in braccio Gesù? Braccia anziane capaci di portare non tanto il peso/la pesantezza del presente, quanto la leggerezza del futuro.

Notiamo che questo futuro ha le fattezze di un bambino, non è il Gesù che opera prodigi, che annuncia il Regno, che affascina le folle. Eppure a Simeone basta questa presenza povera/piccola di Dio per esultare di gioia e lodare Dio. E lo indica a tutti: è proprio lui! Guardate a lui! Quanto lontani siamo noi con i nostri sguardi rivolti al passato, con i nostri discorsi lamentosi, con la nostra miope visione delle cose. E non si tratta di essere ottimisti o pessimisti, ma di essere condotti dallo Spirito Santo. Il nostro difetto di prospettiva è dovuto al fatto che lo cerchiamo dove vogliamo noi… e invece Lui si dà altrove, dove vuole Lui.

– E poi in questo tempio, illuminato dalla luce di Cristo, troviamo una profetessa, Anna. Di lei ci è detto che “non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”.

Ci è presentata come colei che ha posto la sua abitazione presso il luogo della Sua presenza. Non si allontana mai.

Penso a tante persone consacrate che veramente dimorano davanti al Signore. Anna ci conferma che la fedeltà, paga. Quella fedeltà lunga tanti anni. Possiamo immaginare una fedeltà -la sua- all’apparenza sterile, vissuta forse con un senso di inutilità. È fedeltà nel servizio. Servizio a Dio, servizio ai fratelli. Notte e giorno. Ed è proprio la sua fedeltà che le permette di non mancare all’appuntamento. Anna ci consegna questa verità: che, proprio la fedeltà di stare laddove il Signore ci pone, ci permette di incontrare il compiersi delle promesse di Dio. Non c’è ‘luogo’ dove siamo posti che non possa diventare un luogo benedetto. Abbandoniamo la tentazione di pensarci in un altrove che immaginiamo migliore di questo spazio di fedeltà.

In questo modo il parlare, il testimoniare diventa credibile perché attraversa la nostra carne, perché racconta il modo di sorprenderci del Signore, piuttosto che la realizzazione dei nostri progetti o il raggiungimento dei nostri obiettivi.

L’esistenza consacrata, totalmente al Signore, diventa il modo di narrare che il tempo e il compimento della Sua opera sono veramente nelle Sue mani e nel Suo cuore amorevole di Padre.