Is 25,6-10;

Fil 4,12-14.19-20;

Mt 22,1-14

 

È almeno singolare identificare la vita, la storia come un banchetto di nozze. Eppure è proprio l’immagine che (nel vangelo secondo Matteo) raccoglie e custodisce il modo con il quale il Signore guarda l’umanità dopo la Pasqua del suo Figlio. Perché se la storia è un banchetto la ragione sta nel fatto che sono avvenute le nozze del Figlio: esse si sono realizzate nella sua vita donata, in un amore totale e definitivo. Il ‘per sempre’ di Dio verso di noi è l’Amore che non è più ritrattabile, perché è compiuto nella morte. Al banchetto delle nozze del figlio il re invita coloro che gli stanno più a cuore, chi ritiene abbia motivi per sedere a tavola per fare festa con Lui. Quel banchetto ha lo scopo di rafforzare ancora di più il legame esistente. Perché condividere la gioia del banchetto produce proprio questo effetto: rinsalda i legami. Ed è questa forte attesa che accentua la delusione del re di fronte al comportamento degli invitati. Non se lo sarebbe mai aspettato! Amaramente il re constata che non ne sono degni: l’invito è rifiutato (“non volevano venire”), è ignorato (perché ci sono altre occupazioni a cui pensare, ben altre urgenze: “andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari”), l’invito è infine violentemente disprezzato ed oltraggiato (“presero i servi, li insultarono e li uccisero”). È la descrizione della storia di Israele, del rapporto del popolo eletto con il proprio Signore: un progetto di salvezza che viene regolarmente osteggiato. Ma la parabola non è lontana dal narrare tanti inviti alla comunione lasciati cadere o, peggio ancora, avversati con violenza. Inviti che giungono dal Signore come pure da fratelli e sorelle che chiedono di partecipare alla loro vita.

Ed ecco il primo annuncio: il Signore non si arrende e trasforma un rifiuto, un insuccesso, in un’apertura universale. I nuovi invitati vengono raggiunti personalmente, lì dove si trovano (ai crocicchi o ‘alla fine delle strade’). In quei luoghi dove nessun annuncio prima era risuonato. E i servi si ritrovano investiti di un compito: annunciare un’iniziativa del tutto gratuita, rivolta ai “buoni e ai cattivi”. Alla fine il banchetto del Regno si colora per la presenza di un’umanità raggiunta, senza distinzione, dalla misericordia. D’ora in poi nessuno sarà più escluso. Ecco l’inizio di una storia nuova. L’inizio della nostra storia.

Ci aspetteremmo che la parabola si concluda con la frase di rito: “sedettero tutti felici e contenti”. E invece ecco un altro colpo di scena. C’è un ulteriore giudizio verso chi è entrato con il pass ‘last minute’, perché c’è chi siede a tavola senza l’abito nuziale. Rivestirsi di un abito nuovo, un abito di conversione all’amore gratuito di quell’invito è indispensabile per poter ‘restare’ degnamente al banchetto. Ma anche costui non ne era degno. Se con il proprio rifiuto qualcuno si è preclusa la possibilità di entrare al banchetto di nozze, c’è anche chi viene cacciato fuori perché vuole sedere a mensa senza rivestire l’habitus nuovo. Cioè in una condizione che si oppone al significato di quelle nozze. La gratuità dell’invito non sminuisce le esigenze della risposta.

Non c’è chiamata senza una corrispondente conversione. Il re-Signore, il Padre dello Sposo chiede un’accoglienza che rinnova, che trasforma, che salva.

Ma al cuore della parabola risuona con insistenza quel: “Tutto è pronto”, “Tutto è stato preparato”; che immediatamente richiama ad un’urgenza: il tempo che ci è dato di vivere ha in sé l’appello ad una scelta. Non si può procrastinare a domani, non si possono accampare scuse. Possiamo perdere l’occasione favorevole, l’occasione della vita. Ogni momento è il nostro. Non c’è motivo di essere rivolti a quello che ancora manca. In quel “Il banchetto è stato preparato” c’è un annuncio carico di speranza: le condizioni per entrare al banchetto ci sono tutte. Il nostro oggi è colmo dell’Amore che ci è necessario. È colmo dello Spirito, dono pasquale del Risorto. E allora questo è vero anche per noi, per questo nostro tempo: anche per noi “Tutto è pronto!”.

Le nozze senza banchetto, senza partecipazione di tutti, sono mutilate: la gioia di Dio solo così si compie.

Il Signore ha preparato il banchetto rispetto al quale noi siamo i servi che raggiungono tutti (‘buoni e cattivi’), siamo portatori dell’invito ad entrare e sedere. Servi dell’alleanza per tutte le donne e per tutti gli uomini. È già anticipato il mandato affidato ai discepoli dal Risorto: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli” (Mt 28, 19).

Non c’è alternativa: o si favorisce la partecipazione di tutti al banchetto o si impedisce che questo avvenga con le nostre chiusure. Dobbiamo riconoscere che anche tra noi è possibile mettere in atto comportamenti escludenti. I posti a sedere non li stabiliamo noi perché noi siamo i primi ad essere semplicemente invitati. Invitati al banchetto della vita dignitosa, della fraternità. Al banchetto della comunione, che nutre il desiderio di sentirsi partecipi e non esclusi dalle relazioni. È anche il banchetto del pane spezzato, del pane condiviso, nel quale si rinnova la sorpresa che c’è pane per tutti, che c’è posto per tutti.

Non dimentichiamo però che non ci è permesso di prendere posto senza accettare di essere messi in discussione dalle nozze del Figlio, del Cristo che celebriamo. È necessario aiutarci tutti a riconoscere gli appelli alla conversione a quell’Amore, per rimanere fedeli a ciò che celebriamo e perché chiunque si senta ospite.

Oggi la Parola di Dio ci consegna un cammino in linea con quanto Papa Francesco in questi giorni ci ha consegnato nella sua lettera “Fratelli tutti”. Una Chiesa, anche la nostra Chiesa, diventa segno profetico (necessario) perché diventa ospite, nel duplice significato: che sa di essere lei per prima ospitata dall’amore che la precede e che a propria volta è capace di ospitare. È questo il forte appello che il Signore rivolge a noi tutti: a me, vostro pastore, al presbiterio e alla Chiesa tutta piacentina-bobbiese.

L’immagine del banchetto interpella benissimo il nostro presbiterio, nel quale tutti e ciascuno devono sentirsi parte di una fraternità costruita nella forza della gratuità delle relazioni; immagine – quella del banchetto – che interpreta il nostro cammino di Chiesa, provocata sia dall’avvio delle ‘Comunità pastorali’, che dalla sfida della stagione di precarietà che stiamo vivendo. Nella condivisione dell’incertezza che sembra insopportabile e nella quale risuona la domanda: “fino a quando?”, ci è chiesto di recuperare insieme motivi di fiducia e di speranza. Potrebbe sembrare un paradosso: ma anche questo tempo, questa precarietà, questa incertezza sono abitabili. Siamo convinti che questo tempo è fecondo. Può diventarlo.

Insieme ai nostri Santi patroni, affidiamo l’inizio del nostro cammino, che coincide con l’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, a S. Giovanni XXIII, il Papa che ha saputo osare, ha saputo veramente ‘prendere il largo’, confidando nell’opera dello Spirito che continua a guidare la sua Chiesa e che la sorprende oltre ogni sua immaginazione. A noi il coraggio di agire “sulla sua Parola”.