L’immagine che ho voluto accanto all’altare quest’oggi è “La discesa agli inferi” ed è una delle (due) rappresentazioni antiche della Pasqua. Nel Credo apostolico (che qualche volta recitiamo nella Messa) si professa che Gesù “morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte”. Negli inferi attendevano infatti la liberazione i giusti dell’Antico Testamento, solo il Messia avrebbe permesso loro di uscire da quel luogo che si identificava con la morte.

Nella rappresentazione si vede Gesù con lo stendardo in mano (è cioè risorto, vincitore della morte), tirare fuori da questa grotta buia Adamo e al suo fianco Eva. È interessante che Eva (la madre di tutti i viventi, cioè rappresentante dell’umanità) sia mostrata in tutta la sua vecchiaia decadente. È una donna il cui corpo dice che non è più in grado di essere feconda. Rappresenta l’umanità quando non riesce più a generare vita nuova. Quando è sterile.

Gesù all’ingresso di questo luogo di morte (questo sono gli inferi), dove abita il nostro uomo vecchio, tira fuori, libera tutta questa umanità in attesa.

È molto efficace questa immagine per rivelarci ciò che è la Pasqua, cosa compie Gesù, il crocifisso, con la sua risurrezione.

Noi, tutti, in forme diverse abbiamo dei luoghi di morte, degli inferi dai quali non riusciamo ad uscire: situazioni ormai consolidate, scelte e comportamenti sbagliati, abitudini che, come dei vortici, ci risucchiano, ci attirano nonostante noi desideriamo venirne fuori. E in questo modo anche noi non riusciamo a concretizzare i propositi che facciamo, ad esprimere le potenzialità che pure ci sono. Gli inferi (cioè il legame con la nostra storia di peccato e comunque con la nostra storia passata di sofferenza) tendono a perpetuare, a ripetere ciò che c’è stato, quello che abbiamo compiuto…

E la forza di questi inferi è che, un po’ alla volta, ci convinciamo che siamo proprio fatti così… che è impossibile. Siamo come gli altri spesso ci giudicano. Vince l’immagine negativa che abbiamo di noi stessi. E ci arrendiamo alla rassegnazione.

Chi però non si rassegna è Gesù: egli scende lì in fondo e ci prende per mano per farci venire alla luce. È una vera e propria rinascita. È come nascere di nuovo e iniziare una vita nuova.

Gesù con la sua risurrezione, grazie alla forza che scaturisce dalla sua vittoria sulla morte, prima di tutto rianima il desiderio di poter nascere ad una nuova vita. Oggi ripete a ciascuno di noi: “Tu puoi prendere parte alla mia vittoria sul male e sulla morte! Lo vuoi?”. Lo vuoi? Ci credi che sia possibile? Se non lo desideri, almeno, la sua Pasqua non potrà diventare la tua.

Guardate l’immagine: Gesù ci tende una mano (è un braccio potente, è il suo braccio destro che sempre esprime tutta la forza di Dio). E, senza altre parole, è un invito: dammi la mano. La tua. Questo è ciò che Gesù ci chiede: di alzare la mano, di tenderla verso la sua. Di accogliere il suo invito.

Ma se guardiamo bene, c’è un altro gesto delicato, carico di tenerezza, da parte di Eva: tiene il braccio di Adamo. Si aggrappa a lui. È un gesto familiare tra due persone che si vogliono bene, un invito a sostenersi, a darsi una mano. A camminare uno a fianco dell’altro. Eva ricorda a noi che per uscire dai nostri inferi è necessaria anche una relazione di fiducia, una comunità, dei rapporti sani, disinteressati, che ci aiutano, insieme alla mano tesa verso Gesù, a fare quel passo deciso verso la libertà. Verso la luce. Verso una vita nuova. Una vita pasquale. È possibile che ci sia Pasqua per te: Lui c’è con la sua mano tesa, ci sono altri fratelli e sorelle che ci danno il braccio.

Il Signore Risorto, oggi, questo vuole per ciascuno di noi. Questo compie perché ognuno possa vivere veramente una Buona Pasqua.