Papa Francesco ha riconosciuto il martirio del sacerdote piacentino don Giuseppe Beotti. Nel luglio 1944 offrì la vita per la sua gente di Sidolo di Bardi nel parmense durante il grande rastrellamento da parte dei soldati nazisti.

Entro la fine del 2023 avrà luogo a Piacenza la beatificazione. La notizia è stata data dalla Santa Sede nella mattinata di sabato 20 maggio e dal vescovo mons. Adriano Cevolotto al Centro pastorale Bellotta di Valconasso di Pontenure al termine dell’assemblea del Consiglio pastorale diocesano.
Il processo di beatificazione, iniziato in una sua prima fase a Gragnano nel febbraio 2002 con il vescovo mons. Luciano Monari, è stato rilanciato dal vescovo mons. Gianni Ambrosio nel novembre 2010. Ora giunge a compimento a Roma con la guida del postulatore mons. Massimo Cassola.

“È un evento molto significativo per la comunità cristiana piacentina a pochi mesi dalla canonizzazione del vescovo San Giovanni Battista Scalabrini – ha commentato il vescovo mons. Adriano Cevolotto -. Due testimonianze – ha aggiunto – che indicano a noi, in questo tempo segnato da tante incertezze per il futuro dell’umanità, che solo l’amore, quello vero come quello di Cristo, ci permette di guardare al domani con speranza”.
“Se Scalabrini – ha sottolineato ancora – ha espresso l’amore per un popolo intero, per i lavoratori, per gli emigranti, per le famiglie portando loro il Vangelo, don Beotti ci aiuta a capire che solo vivendo con una generosità resa vera dal Vangelo, ci si può prendere cura gli uni degli altri”.
“Il suo desiderio di rimanere in parrocchia durante il rastrellamento, nonostante il rischio di perdere la vita, esprime l’amore di un padre che veglia sulla sua comunità. Così anche oggi i genitori, gli educatori, i sacerdoti possono superare la barriera dell’indifferenza se hanno in sé una motivazione più grande; per chi crede, l’amore di Cristo morto e risorto”.
La salma di don Beotti, finora sepolta nel cimitero di Gragnano, verrà ora collocata nella chiesa del paese dedicata a San Michele Arcangelo.
L’ultimo sacerdote piacentino a essere stato beatificato è stato papa Gregorio X nel 1713.


Chi era don Beotti
Giuseppe Beotti nasce il 26 agosto 1912 a Co di Sotto di Gragnano in provincia di Piacenza. Viene battezzato il giorno stesso della nascita.

La sua famiglia di origine
Allo scoppio della prima Guerra Mondiale nel 1915 il padre Emilio deve arruolarsi e al mantenimento della numerosa famiglia provvederà la madre Ernesta Mori, armata della sua fede solida. Tra il 1916 e il 1919 muoiono i tre fratellini maschi di Giuseppe a causa della difterite e della spagnola; sopravvivono solo le due sorelline, Maria e Savina.
Quando il papà rientra dalla guerra, comincia a lavorare come salariato agricolo in un’azienda della zona. Intanto Giuseppe cresce e manifesta il desiderio di farsi prete. Desiderio non facile da realizzare, viste le magre finanze della famiglia. Ma la Provvidenza esiste davvero e provvede. Dopo il liceo, infatti, il seminarista Giuseppe Beotti viene ammesso al Collegio Alberoni di Piacenza, retto dai preti della Missione di San Vincenzo per la cura dei poveri e la formazione dei sacerdoti. Vi rimane sette anni.

Diventa sacerdote
Ordinato sacerdote il 2 aprile 1938, insieme ad altri sedici compagni, celebra la prima messa a Gragnano. È la Domenica in Albis, subito dopo Pasqua. Giovane prete viene inviato a Borgonovo come curato, dove trascorre 15 mesi intensi e ricchi a livello umano e pastorale. Nel 1940 viene trasferito come parroco a Sidolo in val Ceno nel Comune di Bardi.

Giunge la guerra
Intanto sinistri venti di guerra cominciano a soffiare anche su quelle montagne. Don Giuseppe si distingue per la sua instancabile carità indirizzata indifferentemente a ebrei, partigiani, soldati feriti. La sua casa parrocchiale è sempre aperta per chiunque avesse bisogno.
Don Beotti è un uomo della Resistenza, intesa come forma di opposizione pacifica e non violenta a qualunque forma di totalitarismo e dittatura. Fa di tutto nel suo ministero pastorale per aiutare e salvare il maggior numero possibile di persone.

Il coraggio di tanti sacerdoti
Come lui, tanti sacerdoti scelgono di rimanere con le loro comunità nel pieno della bufera anche a costo di pagare quella fedeltà con la vita. Le canoniche sono di fatto i rifugi più sicuri, nel senso che almeno lì si trova un pezzo di pane e una persona amica, leale, non traditrice. 
Molti bussano alla porta di don Giuseppe. Per tutti don Beotti ha una parola di consolazione, un abbraccio fraterno e un sorriso. Sta dalla parte dei perseguitati, cosciente del pericolo che così facendo corre, ma il desiderio di fare del bene è più forte.

Don Beotti offre a Dio la sua vita per salvare la sua gente
Il pensiero della morte comincia ad insinuarsi nella sua mente. Più volte anche pubblicamente offre la propria vita a Dio per la salvezza della sua gente e per tutti quelli che ha incontrato nella sua missione. Qualche settimana prima che comincino le rappresaglie dei tedeschi sulla montagna, particolarmente efferate in val Taro e val Ceno, una zona strategica perché mette in comunicazione nord e sud del Paese, quando ormai la bufera sembra imminente, don Giuseppe nella sua chiesa, a voce alta e sicura, alla presenza di tutta la comunità si dona a Dio in modo solenne. Dal tono che usa tutti capiscono che non è un’improvvisata.
La stessa offerta viene ripetuta domenica 16 luglio 1944 nel corso della messa, quando ormai i tedeschi sono arrivati a Borgotaro e le formazioni partigiane si sono disperse sui monti. “Se mancasse ancora un sacrificio per far cessare questa guerra, Signore, prendi me!”, dice con una sicurezza che lascia tutti senza fiato. Don Giuseppe è consapevole dell’importanza e della serietà di quell’offerta. L’ha maturata nel tempo, fino a sentirla necessaria, compimento della sua missione di pastore.
Quando i tedeschi stanno per piombare in paese, alcuni parrocchiani gli propongono di fuggire insieme a loro per nascondersi nei cunicoli scavati nel bosco, ma lui rifiuta categoricamente dicendo: “Finché c’è un’anima da curare, io sto al mio posto”.
In quei mesi drammatici del 1944 don Beotti sembra prepararsi giorno dopo giorno alla morte. L’ultima volta che va a trovare la sorella Maria e i nipoti, si congeda dicendo: “Se non ci vedremo più in terra, ci vedremo in Paradiso”.
Durante un’azione svoltasi tra il 10 e l’11 luglio a Pelosa sopra Bedonia, una colonna tedesca perde 70 uomini. Questo fatto provoca un inasprimento dell’azione dei nazisti, i quali dichiarano più volte di voler vendicare i caduti.

La morte
A Sidolo i tedeschi arrivano tra il 19 e il 20 luglio del 1944. In preda al panico, molti fuggono. Don Giuseppe, no. Quella del 19 luglio è la sua ultima sera di vita su questa terra. La passa come al solito dandosi da fare per sfamare un gruppo di uomini provenienti da Borgotaro, sfiniti per la fame e terrorizzati al pensiero di finire in mano ai tedeschi che li inseguono.
Quella notte si trovano a casa sua anche il giovane seminarista Italo Subacchi e il parroco di Porcigatone don Francesco Delnevo, che nella canonica di don Beotti hanno trovato riparo. Quella notte di vigilia, tra il 19 e il 20 luglio, i tre la trascorrono in preghiera. Terminato il rosario, don Giuseppe chiede alla sorella di preparargli della biancheria pulita, perché nel caso l’avessero ucciso non voleva essere toccato.
Il 20 luglio Sidolo viene invasa dai soldati e completamente devastata. Incerti sul da farsi, don Giuseppe e gli altri pensano di esporre un lenzuolo bianco dal campanile per far sapere che in paese non ci sono partigiani armati. Per i tedeschi quel lenzuolo è invece un segnale per i partigiani, così dichiarano di voler uccidere i “pastori”.
I tedeschi inizialmente sembrano incerti sul da farsi, ma poi arriva l’ordine perentorio di procedere all’esecuzione. Alle 16.15 del 20 luglio don Giuseppe, il seminarista Italo Subacchi e don Francesco Delnevo vengono fucilati. Don Giuseppe tiene il breviario nella mano sinistra mentre con la mano destra si fa il segno della Croce.