Nell’augurio natalizio che ho inviato alla diocesi attraverso le pagine del settimanale diocesano, Il Nuovo Giornale, scrivevo che ci è rimasto ‘solo’ un Bambino in questo Natale. Tutti gli addobbi e le manifestazioni di questo tempo sono evaporati. È rimasto quello che stiamo celebrando così solennemente, pur in condizioni limitate.

Può un piccolo, un neonato sostenere le attese che abbiamo riposto in questa festa? O, se vogliamo, alla luce di quello che celebriamo sono corrette le nostre attese? Forse dovremmo interrogarci se quello che aspettiamo ha senso oppure no… Nel giorno di Natale abbiamo investito tante attese: attesa di serenità (rispetto alle molteplici preoccupazioni che ci assillano), attesa di pace (rispetto alle tensioni e ai conflitti vicini e lontani), attesa di vicinanza e di ricongiungimenti (rispetto alla lontananza e ai rapporti sfilacciati o alle assenze prolungate). Ho l’impressione che abbiamo posto un grosso investimento su una giornata (“ti auguro di passare un bel natale”), quasi che non sappiamo chiedere di più al Natale.

E invece oggi si rinnova l’annuncio sorprendente che “il Verbo si è fatto carne”. Cioè l’annuncio di un Dio che continua appassionatamente a curvarsi sulla nostra umanità. E questo Amore, che mi piace chiamare tenace, è un gesto, un atto permanente. Il Suo abbassamento non viene più ritirato, non può essere smentito. Per nulla e per nessuno. Non dipende dall’uomo. È Luce, è Vita, è Dono. Ha in Lui la sorgente e il motivo di essere confermato. Nonostante questo annuncio e questa fedeltà che ogni anno si rinnova, noi continuiamo ad essere insaziabili, insoddisfatti, reclamiamo sempre Sue nuove manifestazioni. È assurdo se ci pensiamo: continuiamo a pretendere che si manifesti, non riconoscendo ciò che è sotto i nostri occhi.

Il Natale, mistero dell’Incarnazione, non si esaurisce nella conoscenza di qualcosa che riguarda Lui e noi, perché, ed è qui la forza di quello che celebriamo, Egli ci coinvolge nell’evento. Ci chiede di credere. Ci chiede la fede, ci chiede di accoglierlo. In questo modo la sua vita ci viene comunicata, e, nella Grazia egli ci trasforma nel Suo Amore (“A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio…”). Figli come Lui, il Verbo fatto carne, come lo è stato Lui. Nel Natale possiamo sperare molto di più che passare una bella giornata: può diventare la ripresa di un cammino di figli/e rigenerato dall’accoglienza di questo bambino. Dall’affidarsi alla verità della sua vita, delle sue parole, delle sue decisioni. La condizione è di farlo crescere in noi, di permettergli che tutto di noi sia plasmato da e in Lui.

Non è la prima volta che ascoltiamo questo annuncio, lo sappiamo (“Dio molte volte e in diversi modi” in passato aveva parlato, ma in questi giorni parla ancora una volta a noi per mezzo del Figlio, così la lettera agli Ebrei). Proviamo perciò ad uscire dal ‘già sentito dire’, dall’abitudine di aver ascoltato molte volte questo annuncio, perché quest’anno, ‘questi giorni’ non sono quelli degli anni scorsi. Questo Natale ha attraversato giorni di lutto, di purificazione, di dedizione, di speranze e di delusioni… In cuor nostro abbiamo desiderato tanto sentire i piedi “del messaggero che annuncia la pace, del messaggero che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio»”. Siamo esausti di sentire che regna tra noi e in noi la paura e il sospetto. Desideriamo partecipare della profezia: “Prorompete insieme in canti di gioia (…), perché il Signore ha consolato il suo popolo”.

Auguriamoci allora che il Signore ci consoli con la sua nascita, con il rinnovarsi della sua presenza. Siamo stanchi ormai che sia solo un bel Natale. A cosa serve? Vogliamo che sia veramente Buono. Il nostro cuore può desiderare ben di più di quello che lo abbiamo abituato ad aspettare.

Perciò vi raggiunga il mio più sincero augurio: Buon Natale!