Buona sera a tutte e tutti! E benvenuti! Un saluto riconoscente al Vicario Generale e al Vicario per il coordinamento degli Uffici pastorali (e al suo ufficio) che in questo tempo mi sono stati di grande aiuto per giungere a questo appuntamento. Cogliamo questo nostro ritrovarci in presenza come un segno promettente: le condizioni per vivere il tempo che ci sta davanti si presentano più favorevoli per poterci incontrare di persona. E lo sappiamo: non è per nulla scontato.

Anche il luogo del nostro radunarci deve dirci qualcosa. Siamo riuniti in questa Chiesa dedicata a san Francesco che si affaccia su Piazza Cavalli, il centro urbano, civile e sociale della città. A richiamarci il fatto che il nostro sguardo si apre sulla città, sulla piazza, spazio di intrecci umani che non ci sono estranei. Nella piazza e nelle strade ci siamo anche noi e non possiamo pensarci, personalmente e come comunità cristiana, se non come parte di un’umanità e di una convivenza che desidera ritrovare percorsi di unità. Il gesto che alla fine faremo, di andare in Cattedrale, passando per le vie della città deve richiamarci che tra un momento e l’altro della nostra vita ecclesiale noi siamo immersi sempre e comunque nello spazio di una convivenza civile, amministrativa, politica ed economica, che esige da noi di essere abitata con passione. Ci affianchiamo a tanti fratelli e sorelle che hanno sulla loro carne impressi i segni di questa pandemia, come pure le attese e le speranze che questa situazione ha alimentato.

Per molti aspetti l’anno pastorale che stiamo per iniziare è particolarmente ricco di temi. Il Cammino sinodale che papa Francesco ha consegnato alle Chiese che sono in Italia (traguardato all’anno Giubilare del 2025), che si intreccia in questo primo anno con il Sinodo dei Vescovi sul tema della sinodalità. C’è poi l’anno giubilare per celebrare i 900 anni dall’inizio della costruzione della Cattedrale di Piacenza. Il tutto converge nel cammino della nostra diocesi, che deve riallacciare i fili con quanto avviato due anni fa, vale a dire il progetto delle Comunità pastorali.

In tutto questo il Vescovo arrivato da un anno che necessita di tempo per conoscere e per farsi conoscere. Una bella sfida. Ma di una cosa siamo certi: la Grazia del Signore non verrà meno.

 

L’OBIETTIVO PASTORALE

 

Vi è stato consegnato una specie di cofanetto da completare. Dentro vi trovate una mia prima Lettera pastorale e delle schede per il lavoro di questo primo anno. Rispetto a ciò che è consueto, ho pensato di inviare una breve Lettera per l’avvio del cammino, promettendomi di farne seguire delle altre che accompagneranno le successive tappe. Qualcosa di più snello e che sia il frutto del lavoro che prenderà forma nella nostra diocesi. A voler dire che, non rinunciando al compito che mi è affidato di esservi guida, esso risponderà a ciò che il Signore ci indicherà strada facendo, chiedendo anche a me di farmi con voi ascoltatore attento di quanto il Signore ci indicherà.

È spontaneo chiedersi: qual è l’obiettivo dell’anno pastorale che ci sta davanti? Domanda che si completa con: che cosa dobbiamo fare?

L’obiettivo è di riprendere o per alcuni avviare i passi che erano stati previsti perché le Comunità pastorali prendessero forma. Lo sappiamo tutti che la pandemia ha interrotto questo processo. Ora il Cammino sinodale ci viene incontro per indicarci la strada: vorremmo che la costituzione dei Consigli delle Comunità pastorali avvenisse in un’esperienza di sinodalità. E per far questo abbiamo bisogno di essere aiutati (tutti, sottolineo) e che qualcuno sia formato a questo (i moderatori insieme ad alcuni laici delle Comunità pastorali).

Spero che riusciamo ad intuire come tale avvio diventi decisivo: iniziare qualcosa di nuovo facendo una significativa esperienza di chiesa sinodale sarà un impulso per continuare a crescere e a sviluppare il progetto. Per dirla in modo semplificante dovremmo alla fine dire: “così è proprio bello! Non c’è nulla da perdere”.

L’esperienza sinodale si può realizzare imparando qualcosa che diamo troppo per scontato: ascoltare. Papa Francesco, parlando alla diocesi di Roma, alcune settimane fa, sottolineava che nelle nostre comunità, nei nostri Consigli – aggiungo io – non dobbiamo ascoltare delle opinioni, ma ascoltare lo Spirito Santo che parla alle Chiese. Come? “ascoltatelo ascoltandovi”. Ciascuno, in un clima di preghiera e con metodo, può dar voce a quelle istante che lo Spirito Santo, che guida la Chiesa, fa sorgere e che chiede di seguire. La condizione è che ciò avvenga in una sinfonia, nella stima crescente per ciascuno, trasmettendo a tutti il messaggio che sono preziosi e che ognuno ha bisogno che l’altro ci sia e che dia il proprio apporto.

Nel Cammino sinodale questo è un anno di ascolto. Noi cercheremo di valorizzare la proposta che ci verrà fatta per crescere nell’ascolto tra di noi, ma anche di chi è più ai margini della comunità cristiana per riconoscere in lui/lei/loro qualcosa che ci aiuti ad entrare in una conoscenza più profonda del tempo che stiamo vivendo e delle possibilità, degli appelli che ci sono offerti.

 

TEMPO DI ESODO

 

C’è un ascolto che non possiamo né trascurare né tanto meno dimenticare: è l’ascolto della Parola di Dio. Essa non solo ci abilita all’ascolto di Dio che parla nelle sue Scritture, ma ci permette di stare in ascolto di ciò che ci capita. Essa dà voce anche alla vita, alla cronaca per disvelarne il mistero. Il pensiero va ai due discepoli di Emmaus meravigliati che Gesù non conosca la cronaca degli ultimi giorni. Ma alla fine solo le parole di Gesù li rende capaci di cogliere ciò che realmente era successo.

In questi mesi, essendoci state proposte dalla Liturgia alcune pagine dell’Esodo, ho colto in esse un invito a guardare il tempo che ci è dato alla luce di quell’esperienza. Ho trovato infatti molte assonanze, molti temi ricorrenti rispetto al nostro vissuto personale e comunitario. Quell’esperienza ci può veramente aprire uno sguardo di fede sulla stagione nella quale siamo immersi.

Sono certo che questo nostro momento storico ed esistenziale assume una prospettiva diversa se diventa un ‘passaggio’, un Esodo, per l’appunto, verso una terra promessa, verso un approdo a qualcosa di sorprendente che il Signore ha in serbo di donarci.

Non solo. Certi atteggiamenti che viviamo, pensieri che alimentiamo, tentazioni che non riconosciamo come tali, li troviamo pari pari nel racconto dell’Esodo. Nel constatare che non c’è più quello di prima, nel patire le cose che mancano, nell’idealizzare il passato… il lamento, la nostalgia, la protesta e la pretesa rischiano di prendere il sopravvento. Ma il Signore pazientemente invita a superare questo atteggiamento, rilanciando la vita, per chiamarci a conversione, per invitarci a rinnovare la fede, per farci diventare Suo popolo. Anche per noi questo tempo di prova, come per Israele, ci dà modo di capire cosa c’è veramente nel nostro cuore (cfr. Dt 8,2).

In questo anno saremo allora condotti proprio da questo invito a fare un passaggio: dal lamento all’appello. Il lamento, per quanto possa essere comprensibile, è inconcludente. Ma se nelle pieghe della nostalgia si trovano le tracce di un appello, di un invito del Signore a guardare altrove o in modo diverso, allora si apre una prospettiva di futuro.

Tante sono le condizioni personali e comunitarie-ecclesiali (il ruolo del sacerdote che è sempre meno riconosciuto, parrocchie che hanno il sacerdote condiviso, genitori non sempre collaborativi nella trasmissione della fede, partecipazione alla vita liturgico-sacramentale e comunitaria ridotta…) che ci spingono verso reazioni che intristiscono. Tristi perché senza fiducia.

Noi vogliamo crescere come persone e come comunità pasquali, animate cioè, in forza della fede nella risurrezione, dalla speranza che c’è vita in ogni passaggio di morte. C’è un Signore della storia che conduce la nostra esistenza e per questa ragione è richiesta la conversione da uno sguardo miope verso una visione di cieli nuovi e terra nuova.

Durante questo Cammino vi invito a lasciarvi accompagnare dall’ascolto attento del racconto dell’Esodo. Attraverso alcune pagine suggerite si potrà coltivare lo spirito credente più adeguato per lasciarsi condurre dal Signore. Quindi raccomando di sostare su queste pagine nella preghiera, nell’ascolto condiviso, nella riflessione condotta dallo Spirito.

 

LA TENDA DEL CAMMINO

 

A questo punto può essere più chiara l’allusione presente nel tema che accompagnerà quest’anno pastorale: la tenda del cammino. Nel corso del cammino dell’Esodo, tra le tende, proprie di un popolo itinerante, ne fu piantata una che era del popolo perché era di Dio. Era la tenda del convegno, della presenza di Dio. In essa Jahvé assicurava una presenza particolare che permetteva al popolo di essere confermato anche quando lungo il cammino questa fedeltà sembrava venir meno.

Il tema della tenda richiama immediatamente il prologo del vangelo di Giovanni, e viene ripreso pure in altri passi del NT.

Per noi la tenda richiama anche al luogo dove il Signore assicura in modo efficace la sua presenza (la vita liturgico-sacramentale), ed insieme laddove la comunità è raccolta in assemblea. La Cattedrale certamente ha una struttura molto stabile, è un edificio piantato saldamente per terra. Ma è vero che ha accompagnato il cammino della Chiesa Piacentina (ora anche Bobbiese) in questi lunghi secoli. Anche dentro a situazioni faticose, a momenti bui, a condizioni di sofferenza.

Due cose mi piace evidenziare. La prima è che in quest’anno celebriamo l’inizio della costruzione della Cattedrale. Un inizio che ha comportato il lavoro di oltre cento anni, durante i quali è rimasta in piedi la Chiesa di S. Giustina. Dare inizio a qualcosa di nuovo (come è questa nostra epoca) non significa sapere quando il tutto si compirà. E nel frattempo dura ancora quello che c’era precedentemente. Ne rimane almeno qualche sua parte.

La seconda cosa, che mi è stata fatta notare, è che nel 1117 era avvenuto un terremoto che aveva fatto tanti danni alla città e a molti suoi edifici. E la città si è unita per ri-costruire quello che era stato compromesso. C’è anche in questo una vicinanza con l’esperienza che stiamo vivendo. Anche ai nostri giorni c’è stato un ‘terremoto’ procurato dalla pandemia e dai cambiamenti profondi e veloci che stanno avvenendo a vari livelli. Molte cose sono state compromesse e non sono più affidabili. Parte della nostra tradizione non è più in grado di essere compresa.

Oggi, come allora, c’è un invito non solo a restaurare ma a ri-edificare. La Cattedrale rinvia al fondamento su cui costruire il nostro futuro, anche oggi. Solido. Che non sia fondato su di noi. In secondo luogo che anche oggi, come allora, il futuro può essere costruito con il contributo di tutti. Allora tutte le forze civili e sociali, le diverse corporazioni contribuirono all’edificazione della Cattedrale. Essa assumeva un rilievo comunitario. Il contesto sociale, culturale e religioso è radicalmente diverso. Eppure anche oggi è altrettanto attuale e urgente porre segni di convergenza e di unità, gesti e luoghi simbolici attorno ai quali riconoscere l’impegno a superare il lamento per quello che non c’è più. Perché sulle rovine di ciò che è crollato c’è dell’altro che sta nascendo. “Non ve ne accorgete?” (Is 43,19).