“Oggi è Pasqua, anche se noi non siamo anime pasquali: il sepolcro si spalanca ugualmente, e l’alleluia della vita esulta perfino nell’aria e nei campi; ma chi sulle strade dell’uomo, questa mattina, sa camminargli accanto e, lungo il cammino, risollevargli il cuore?”. È la domanda “scomoda” che don Primo Mazzolari pose alla sua comunità in occasione della S. Pasqua, il 1° aprile 1956. Interrogativo che risulta attuale e necessario anche per noi, oggi.
Perché è vero: la Pasqua di Risurrezione rimane stabile, il Vangelo che annuncia la Salvezza è lo stesso di sempre e ci ricorda che nel cammino della nostra vita possiamo fare tesoro della presenza del Signore, che è la nostra speranza e la nostra roccia di salvezza. Una speranza vera, concreta che, come ci ricorda papa Francesco “non illude e non delude perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino” (cfr. Spes non confundit, 3).
Una speranza però che non possiamo trattenere solo per noi stessi ma che ci invita a renderci solidali nei confronti degli altri, ad avere il coraggio e la forza per combattere tutto ciò che lede la dignità della vita degli uomini e delle donne del nostro tempo. A questo riguardo, i motivi di preoccupazione che ci invitano a una maggiore assunzione di responsabilità nel prenderci cura della vita degli altri non mancano.
Nella realtà che stiamo vivendo, anche piacentina, sono evidenti i segnali di una crescente fragilità che in modo trasversale sta attraversando le famiglie, il mondo del lavoro, dell’educazione e della cura dei più deboli. Inoltre, a livello internazionale, stiamo seguendo la follia della guerra che sembra non conoscere tregua in Ucraina, in Palestina e che si affianca a tanti altri conflitti e atrocità sparsi nel mondo.
C’è poi il fenomeno delle migrazioni: migliaia di persone che si spostano quotidianamente in cerca di una vita migliore, spesso senza trovarla, scappando da situazioni di sfruttamento, guerre e violenze. Ci sono poi emergenze ambientali e questioni etiche che interpellano il nostro agire, le nostre scelte e il nostro cammino verso il futuro.
Dentro questo contesto così difficile e segnato dalla sofferenza e dalla morte, anche noi ci ritroviamo a rivivere quanto sperimentato dalle donne che si recarono al sepolcro, verso Gesù, il loro Maestro e Signore, morto: “Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro” (Matteo 28,1). Un pellegrinaggio silenzioso e lacerante. Un andare verso la terra, spesso privi di speranza di fronte a ciò che appare perso per sempre.
Ma ogni amore autentico, si sa, porta in sé il desiderio, quasi la pretesa, di eternità. Ed è proprio quello che accadde alle donne il mattino di Pasqua. Il pellegrinaggio verso la morte, si trasformò in un pellegrinaggio verso la vita… “Perché cercate fra i morti colui che è vivo?”.
La Pasqua è quindi un dono, una consegna fatta a tutti noi: a non rallentare il nostro cammino, a non smettere di credere nell’amore, lasciandoci aiutare a riconoscere i segni di vita presenti nel mondo, in noi stessi e negli altri. A rimuovere, con l’aiuto di Dio, i “macigni” che rischiano di impedirci di intravvedere la possibilità di costruire per tutti un mondo migliore. Affinché la nostra vita non dia l’impressione di essere rimasta ferma al “venerdì santo” ma si incammini verso il giardino del Risorto.
E in questo giardino ciascuno di noi si senta chiamato per nome, col nostro nome, dal Signore. Invitati ad accogliere il dono della sua vita, sentendoci responsabili di trasmetterla ai nostri fratelli e sorelle.
Perché è proprio questo che è chiesto a noi cristiani: rendere visibile e concreta la speranza, camminando accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo, “sollevando il loro cuore” perché animati dalla forza dello Spirito del Cristo Risorto, illuminati dalla luce del mattino di Pasqua.
Fonte: Il Nuovo Giornale n 14 del 17 aprile 2025