GIOVEDÌ SANTO 2023

Al centro di questa liturgia ci sono due momenti che sono propri della Messa Crismale. Si tratta della benedizione degli oli (dei catecumeni, degli infermi e del Crisma) che in modo chiaro collega la celebrazione dei sacramenti alla Pasqua. La Pasqua di Gesù si diffonde così nell’esistenza del cristiano nei suoi momenti decisivi, trasformandola in esistenza pasquale.

L’altro rito è il Rinnovo delle promesse sacerdotali. È un momento che coinvolge in particolare noi sacerdoti, perché ci riconduce a quell’evento sacramentale in forza del quale si sono trasformate la nostra identità e le nostre relazioni con la comunità cristiana e con i nostri fratelli e sorelle nella fede. Ci rendiamo conto che questo rito non è una specie di tagliando da ripetere perché la promessa iniziale, diremmo, ha una scadenza. Eppure ciò che la Chiesa, nella sua sapienza spirituale e pedagogica, ha introdotto serve a richiamare qualcosa di decisivo e, al contempo, soggetto ad un facile indebolimento. Rinnovare perciò le promesse fatte il giorno della nostra ordinazione sacerdotale ha l’obiettivo di ridare forza al nostro essere e operare da presbiteri. Non solo. Ma essendo fatto insieme con tutto il presbiterio e idealmente davanti alla comunità diocesana nelle sue diverse espressioni sottrae la nostra vocazione da una visione privatistica e allo stesso tempo ricorda a ciascuno le priorità di stile e di contenuto del ministero sacerdotale. È una vera propria consegna reciproca per aiutarsi a tenere fede a ciò che è essenziale. Dovremmo poter contare tutti sul sostegno della comunità che, grazie anche a questo momento, si educa a purificare le richieste al sacerdote e a richiamarci, quando rischiamo di perdere per strada qualche pezzo, a ciò che ci è affidato e per il quale abbiamo fatto una promessa.

La vita cristiana e le sue vocazioni sono tutte costruite a partire da alcune promesse. Dal battesimo-confermazione, con le proprie promesse (per i più piccoli fatte dai genitori e padrini); al matrimonio, nel quale c’è una promessa di un amore unico, fedele e fecondo per tutta la vita; alla consacrazione, con i voti o le promesse emesse ad un certo punto in forma definitiva; per arrivare al sacramento dell’ordine. È interessante che la vita cristiana, nella quale il Signore fa intravvedere una promessa di vita, di vita piena, chieda come risposta altre promesse: vale a dire di impegnare la propria vita (tutta e per intero) a favore di ciò che il Signore ci ha fatto pregustare. Può essere una forma di vita e/o una persona. Anche nel matrimonio infatti quella persona che il Signore ci ha fatto incontrare e con la quale si intravvede un futuro di felicità, ti è chiesto di impegnarti ad amarla come l’amore esige. E la promessa dipende dall’impegno che sei disposto a metterci, da quanto sei disposto a crederci. Proprio questo oggi, per la mentalità diffusa, è motivo di scandalo. Sembra assurdo che io possa impegnarmi per il mio futuro. Che il mio sì ‘condizioni’ le scelte che potrei un giorno fare, le alternative che mi si potrebbero presentare. L’obiezione più frequente è proprio questa: “come posso essere sicuro/a che domani proverò lo stesso sentimento verso questa persona?” oppure: “come posso precludermi altre opportunità che nel tempo mi si possono dare? Questo ci fa capire perché non è solo in crisi la vocazione alla vita consacrata e al ministero ordinato, ma ogni vocazione, anche quella al matrimonio e alla genitorialità.

Il cristiano di oggi e di ieri non è un ingenuo, né un presuntuoso, ritenendo di essere migliore degli altri, o meno soggetto alle crisi, meno esposto alla prova della fedeltà. Tutt’altro. La Chiesa, qualora qualcuno si dimenticasse, ci fa aggiungere, nel momento della promessa vocazionale: “Con l’aiuto di Dio!”. Non è una nota da poco, trascurabile. Al contrario, è il cuore dell’impegno personale. In forza di quel Signore che mi ha chiamato a questa vocazione, alla grazia che fin d’ora mi ha assicurato e che ha permesso di giungere qui, oggi impegno tutta la mia vita. Potendo contare sulla sua fedeltà. Che non viene meno. Tanto più quando tendiamo a contare solo sulle nostre forze.

Veniamo a noi, cari confratelli sacerdoti, se all’inizio della nostra risposta vocazionale abbiamo riconosciuto una promessa da parte del Signore dentro a questa vocazione, credo sia necessario, anche in questi giorni, chiederci come il Signore ha realizzato in me e nel mio ministero la promessa di vita cristiana bella che custodiva la chiamata. E poi diamo un nome alla promessa che ancora oggi il Signore sta mostrandomi. Perché se non c’è una ragione ‘buona’ per cui donarmi a Lui e ai fratelli dove posso trovare motivazione e forza per vivere con freschezza il mio ministero? Che cosa oggi mi spinge a ‘rinunciare a me stesso’ se non quella vita di Gesù che desidero assumere per vivere in pienezza? Solo perché Cristo viva in me, con il suo amore, ha senso anteporre il bene degli altri al proprio. Il bene della Chiesa e del presbiterio al proprio interesse.

Non posso non esprimere a voce alta la domanda circa il tempo che ci garantiamo per pregare. Se e quanto troviamo tempi e spazi di silenzio nei quali cercare l’intimità con il Signore, nella quale ci può aprire promesse di vita. Alcuni segnali di fatica a cercare e gustare il silenzio per un ascolto della Parola di Dio mi spingono a porre tale interrogativo. C’è nella nostra diocesi la bella tradizione dei ritiri vicariali, facciamoli diventare anche spazi dove allenarci nel silenzio per far risuonare la Parola ascoltata. Le fatiche che sperimentiamo e che troppo spesso decliniamo come qualcosa da evitare o smentite della promessa del Signore, sono invece la strada della fedeltà che crea legami e fa crescere la passione. È una legge che vale per ogni stato di vita. Cosa vuol dire per me oggi “dedicarmi assiduamente alla preghiera”? La forza dell’annuncio attinge sicuramente da una vita orante e da una familiarità con la Parola di Dio.

Aver promesso di consacrare noi stessi a Dio insieme con lui (Gesù Cristo) per la salvezza di tutti gli uomini, nasce dall’anelito di Gesù di non escludere nessuno dal Suo amore. Credo sia di grande respiro coltivare questa passione di Gesù, piuttosto che chiudersi in piccoli recinti di un ordinario di basso profilo. Ne va di mezzo della nostra vita e del compito a cui il Signore ci ha riservato.

Molto nostro impegno è profuso per la celebrazione liturgica, che abbiamo promesso di “celebrare con devozione e fedeltà”. Lo sappiamo che in alcune zone della nostra diocesi a questo si ‘riduce’ (diciamolo pure in modo inappropriato) il ministero. E proprio questo fatto ci obbliga a dedicarci alla cura della liturgia, non possiamo correre il rischio di esaurire le energie nei trasferimenti frenetici e nella moltiplicazione delle messe. Oltre a non prestare un vero servizio, esprimendo al meglio la ricchezza della liturgia, corriamo il rischio di inaridirci.

Desidero con voi prendere sul serio la celebrazione che stiamo vivendo. Diventa un’occasione provvidenziale se lasciamo che essa ci interpelli. Abbiamo sentito nel brano evangelico che Gesù “venne a Nazaret”. Nazaret è la vita ordinaria, la vita familiare. Egli oggi entra e abita il quotidiano del nostro agire pastorale e del nostro essere stati chiamati a seguirlo in questa vocazione. La sua visita illuminata dalla sua Parola e dalla liturgia della Messa Crismale ci aiuti a ritrovare le ragioni per riprendere con gioia il cammino della nostra vocazione. Un cammino pasquale.