Is 9,1-6

Tt 2,11-14

Lc 2,1-14

 

Corriamo un pericolo: di chiudere Dio in un’idea, in un concetto astratto. Che è un po’ mortificarlo, incarcerarlo. In fondo è ridurlo ad un idolo.

Perché di fatto dentro di noi c’è un’idea di Dio, un’immagine attorno alla quale prende forma la nostra fede. Proviamo a domandarci: qual è il Dio in cui credo?

A questo riguardo un rischio per la fede (cristiana) è che l’idea che ci facciamo non sia legata con quello che celebriamo, con quello che ascoltiamo dalla Parola di Dio. Venendo quindi a noi, che stiamo celebrando il Natale nella notte santa, ci dobbiamo chiedere se alla domanda: “a che cosa associ la parola Dio?” ci viene spontaneo rispondere: il Natale, Betlemme, il Bambino nato da Maria. Perché se la nostra fede, il nostro essere credenti non viene plasmato da ciò che ogni anno celebriamo e viviamo vuol dire che attingiamo altrove i riferimenti del nostro essere cristiani. Con il risultato -peraltro molto diffuso – di avere un dio poco cristiano, un dio poco incarnato e, alla fine, una fede dissociata dalla vita.

Allora che cosa dice del Signore e di me il mistero dell’Incarnazione?

Non possiamo negare che è più “facile” continuare ad affidarsi ad un Dio potente che libera con la bacchetta magica dalle povertà, dalle ingiustizie. Che risponde ai nostri bisogni e alle nostre preghiere. Un Dio che fa giustizia, che si erge al di sopra di tutto paladino della difesa dai pre-potenti di turno. Dai poteri forti che impongono regole oppressive.

In realtà stanotte l’annuncio che squarcia il silenzio, che illumina il buio che avvolge le nostre esistenze è la nascita di un Salvatore, unita all’indicazione di un segno: “un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Che Dio strano.

“La mangiatoia” è il primo posto occupato dal Verbo che si fa carne, che nasce in un ricovero per animali (una stalla) “perché per loro non c’era posto nell’alloggio”. Probabilmente trovano rifugio nel piano inferiore delle stanze occupate dalle persone, dove si riunivano gli animali. Questo è il nostro Dio, che non ritrae la decisione di farsi uomo perché non c’era posto, né rinuncia a farlo perché il luogo non è sufficientemente dignitoso. La decisione di entrare nel mondo non dipende dalla porta da cui può entrare. Lui viene dove c’è uno spazio che lo possa accogliere. E questo spazio c’è sempre. Anche oggi, magari in qualche luogo marginale ed inospitale, che nessuna persona accetterebbe di abitare. Lui viene. Perché in ogni caso c’è qualcuno (e più di uno) che è costretto a starci in quegli spazi, in quelle condizioni.

Le immagini che con il contagocce, è vero, ci raggiungono per affacciarci su tanti drammi umani ci parlano proprio di spazi inabitabili. Oggi diremmo: dove non accetteremmo che neanche i nostri animali fossero messi. Difensori strenui dei diritti degli animali, quanto muti e pavidi verso i volti di uomini e donne sfigurati dalla nostra indifferenza e dal nostro rifiuto.

Ma Gesù nasce qui per affermare che Dio non rinuncia a farsi uomo per riscattare ogni uomo. Nasce proprio dove la persona o un popolo dubitano che ci sia per loro riconoscimento e spazi di vita dignitosa. Attirando su di sé la nostra attenzione la indirizza verso chi vive per costrizione quelle condizioni umane, che onestamente diciamo disumane.

Ogni segno, anche quello di questa notte, è da riconoscere e da accostare. Nessun segno è così evidente da convincere tutti. Può diventare strada da percorrere (come per i pastori) o può essere motivo di scandalo (come per Erode e gli abitanti di Gerusalemme).

La sorpresa è che questo nostro Dio non esclude nessuno dall’annuncio. È per tutti. Allora come oggi. Per nessuno c’è il cartello di “divieto di entrata”.

Il Natale potrà essere buono per tutti noi se lasciandoci raggiungere dall’annuncio accetteremo di lasciarci sorprendere da Dio, convertendoci al Dio deposto nella nostra mangiatoria (nello spazio che abbiamo rifiutato di abitare), convertendoci al Dio che non rinuncia di essere appassionato dell’umanità. Di ogni persona. Anche di chi questa notte lo può rifiutare o ignorare.

Buon Natale!