Is 62,11-12

Tt 3,4-7

Lc 1,26-38

 

E tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata”.

Essere e sentirsi ricercati – Essere e sentirsi abbandonati potete raccontare voi cosa significa. Due participi (ricercato e abbandonato) che qui evocano giorni e notti di angoscia e di sofferenza. Esperienze passate ma che spesso restano vive. Ferite ancora un po’ sanguinanti.

Per questo motivo stamattina credo che in questo luogo questi due participi, che troviamo in bocca al Signore, sono capaci di commuovere: Dio oggi ci dice che voi, proprio voi siete “ricercati” da Lui, dal Suo amore che è capace di raggiungervi qui dentro, dentro al vostro cuore. Oggi il Signore, nel bambino che nasce, dice a ciascuno di voi: “Tu sei stato raccolto, sei in mani sicure. Tu sei mio! Tu mi appartieni. Mi sei figlio”.

Capite la grandezza dell’annuncio che squarcia veramente ogni muro di costrizione. Lasciate risuonare dentro di voi, dentro a questa comunità di persone recluse questa buona notizia: tu sei ricercato dalla misericordia di Dio, al punto che questa casa, questa “città” diventa luogo della presenza di Dio. Luogo della sua misericordia (“Egli ci ha salvati non per opere giuste ma noi compiute, ma per la sua misericordia”, scrive s. Paolo). Se potessimo considerare la Casa circondariale come Città di misericordia.

Stanotte anch’io ho ascoltato, con i pastori, il canto degli angeli e mi sono detto: andiamo a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere.

Per me, per noi Betlemme è qui. Allo stesso modo che Betlemme sarà tra qualche ora la mensa della Caritas. E non è un’affermazione ad effetto, perché ce l’ha ribadito Gesù stesso quando disse: “Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare (…), ero straniero e mi avete accolto (…), ero in carcere e siete venuti a visitarmi”. Ma oggi l’accento non è posto sul fatto che sono/siamo venuti a visitarvi… ma che Lui sia qui. Che Gesù abbia il volto, le mani, i piedi, gli occhi vostri. Le vicende della vita e le scelte che sono state fatte hanno posto anche voi oggi in questo luogo, ai margini della città, al limitare dell’umano, perché l’umano di suo non vive incarcerato. Anela la libertà, la responsabilità, la vita donata.

Non si tratta – come oggi si tende a dire – di fare i buonisti, ma di fare il Natale. Di ricomporlo oggi, come allora, in tempi e spazi che corrispondono all’intenzione di Dio.

Il dove nasce e viene deposto Gesù è un ricovero per animali, un luogo che nessun umano desidera abitare. Ma quel bambino in fasce dice che c’è un uomo e c’è un Dio anche in questo luogo. Anche laddove l’umano sembra essere compromesso. Gesù sceglie questo luogo per manifestarsi come Salvatore: “Li chiameranno Popolo Santo, Redenti dal Signore”: queste parole dicono di voi. Redenti sta per riscattati, riscattati da una pena che solo qualcuno da fuori, un parente, un alleato potente può pagare per farvi riacquistare la libertà. Anche un luogo di detenzione, con gli occhi del Dio che si fa uomo, diventa una “Città non abbandonata”. Non più abbandonata a sé stessa e al male che certamente è stato presente, ma che viene perdonato e per questo può perdere la sua potenza.

Il Signore ci ha condotti qui (in una delle sue tante Betlemme) perché anche noi tornando a casa glorifichiamo e lodiamo Dio per tutto quello che abbiamo udito e visto. Per aver adorato qui il Salvatore del mondo.

A questo punto chiedo a voi di augurare a me e a noi, stamattina ospiti della vostra Betlemme, un Buon Natale.