Nel Vangelo abbiamo appena sentito la testimonianza di Giovanni. Stasera vorremmo aiutarci ad ascoltare la testimonianza del papa emerito Benedetto XVI. Perché l’esistenza di ciascuno è una testimonianza. Di vita. Di fede.
Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 31-32).
Sono queste parole di Gesù, rivolte a Simon Pietro prima della sua passione, che hanno risuonato in me con forza pensando a papa Benedetto. Esse ci offrono una chiave di lettura della sua vicenda spirituale e le ragioni per esprimere la gratitudine al Signore per avercelo donato come sacerdote, fine teologo, vescovo e Papa.

  1. L’ORIZZONTE DELLA FEDE-RELAZIONE CON GESÙ COME ELEMENTO SORGIVO PERMANENTE

C’è una frase dell’Enciclica Deus caritas est, che papa Francesco ha citato in Evangelii gaudium, che può rappresentare l’architrave del pensiero e dell’esperienza personale di Joseph Ratzinger: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”. Prima che parlare di altri, di noi, qui c’è il profilo biografico di Joseph Ratzinger. Qui si radica la tensione spirituale e pastorale del suo ministero petrino. In un’intervista papa Benedetto stesso, alla domanda su quale fosse il segno distintivo del suo pontificato, rispose: “un rinnovato incoraggiamento a credere, a vivere una vita a partire dal centro, dal dinamismo della fede, a riscoprire Dio riscoprendo Cristo, dunque a riscoprire la centralità della fede” (in Ultime conversazioni). Sono assolutamente in linea con tale preoccupazione le parole di Gesù: “… ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno”. Il centro da cui si irradia tutto il suo ministero è la custodia della fede. L’impegno che aveva profuso nella ricerca teologica si è tradotto in azione magisteriale e pastorale. La conversione di cui parla Gesù a Pietro non è prima di tutto di ordine morale, bensì è lo sguardo rinnovato a sé stesso, attraverso gli occhi di Gesù.

Ecco il filo conduttore che lo ha visto impegnato con intelligenza e passione.

Di fronte alla tendenza diffusa di crearsi un dio a propria misura, sostenuti dalla cultura del relativismo e del soggettivismo, più volte evidenziata come un pericolo per l’autenticità della fede, egli si è impegnato a riconsegnare il dato della fede con i tre volumi sul Gesù di Nazaret. È il frutto del lavoro dell’equipe da lui guidata all’interno della Congregazione per la dottrina della fede il testo del Nuovo Catechismo della Chiesa cattolica. Così come le sue tre Encicliche (l’ultima completata da papa Francesco) ci consegnano l’itinerario per entrare nella Carità, nella Speranza e nella Fede: le tre virtù teologali.

  • TEMPO DI PROVA, DI VAGLIO

Benedetto XVI si trova di fronte ad alcune grosse sfide che coincidono con situazioni di crisi con le quali ha dovuto fare i conti. E che lo hanno provato. Abbiamo ricordato il diffondersi di una cultura per la quale il soggettivismo incide nel modo di intendere e vivere la fede. Egli avvertì la necessità e urgenza di precisare il rapporto che la fede deve intrattenere con la ragione, come pure di affrontare la relazione del dato oggettivo della rivelazione con l’istanza della soggettività. Altra sfida che ha intercettato interessava il dialogo ecumenico e quello interreligioso. Non si sottrasse ad offrire il suo contributo, anche quando fu motivo di incomprensioni. Allo stesso modo, all’interno della Chiesa, ebbe il coraggio di affrontare le divisioni prodotte da quelle realtà anticonciliari che avevano provocato uno scisma, tentando di comporre l’unità. E, infine, l’emergere in ambito ecclesiale di abusi verso minori, come pure il manifestarsi di comportamenti scandalosi all’interno della stessa Curia romana.

Pur solo accennate, si può cogliere la consistenza di tali sfide, al punto da riconoscere che ciò che papa Ratzinger ha vissuto nel suo pontificato è stato un vero e proprio vaglio, nel quale è stato protagonista di un processo di verità e di una coraggiosa testimonianza. A ben considerare, la sua persona, sulla breccia nella situazione di prova, si è caricata il peso di tali tensioni, confermando la Chiesa tutta nella fiducia che il Signore non fa mancare la sua presenza e la sua forza.

Rilette con distacco alcune sue decisioni, che successivamente non hanno dato i risultati sperati (ad es. verso la fraternità legata a Lefevre), si possono comprendere come l’estremo atto di carità che confida più che sulla strategia, sull’offerta del gesto di comunione, nella volontà di operare per la riconciliazione. Il suo potrebbe esser giudicato come un atteggiamento ingenuo, oppure come la manifestazione del bene più grande da ricercare nella passione per la Chiesa: l’edificazione dell’unità.

  • L’UMILE ATTO DI CORAGGIO

Benedetto XVI rischia di essere ricordato per la sua rinuncia. Sarebbe senz’altro riduttivo ed ingiusto. C’è molto nel suo pontificato che va recuperato. Eppure anche la decisione presa, che conclude il suo pontificato, parla della libertà interiore di questo credente, di quanto abbia prevalso l’obbedienza della fede nella chiamata al ministero petrino. Sicuramente testimonia l’assenza di ogni ambizione di potere.

“Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Con queste parole l’11 febbraio 2013 annunciò la rinuncia al ministero di Vescovo di Roma. Riconosciamo l’umiltà di chi constata di non essere più in grado di continuare il compito che gli era stato affidato. L’amore per la Chiesa, in un momento di così grandi trasformazioni, gli ha chiesto questa decisione, “ben consapevole della gravità di questo atto”. Non si sentiva più nelle condizioni di garantire la guida rispetto alle grandi sfide del momento presente. Ci vuole coraggio per guardare con verità la propria umanità e umiltà per non considerarsi più adeguato.

Possiamo esprimere al Signore la nostra gratitudine per questo testimone appassionato della ricerca teologica, per questo testimone della disponibilità a servire la Chiesa e il Vangelo su strade e con compiti non previsti dai propri criteri, per questo coraggioso testimone del primato di Gesù, che può essere amato e servito anche nel silenzio e nella preghiera. Nella discrezione di un ritiro che mantiene il cuore unito al centro che è stato, fino alla fine della sua esistenza, Gesù di Nazaret.