Is. 5,1-7 Fil 4,6-9 Mt 21,33-43

Attraverso l’immagine della vigna, la Parola di Dio, oggi, ci ricorda che il Regno di Dio è una realtà viva, che ha come esigenza sua propria quella di dare frutto e frutto buono. Un frutto che non è solo il risultato della cura del padrone della vigna, neanche della qualità del terreno (che può essere un ‘fertile colle’), vale a dire del contesto familiare o ecclesiale in cui si vive. Si possono verificare le migliori condizioni senza che si produca il frutto sperato. È così: non sempre l’eccesso di cura produce i frutti attesi. È decisivo lo spazio della risposta, della libertà, del corrispondere alla propria vocazione. La minaccia non viene solo da dentro, il Signore invita anche a custodire la vigna dai pericoli esterni (ce l’ha ricordato il salmo responsoriale). E Gesù aggiunge un altro pericolo: di impadronirsi della vigna. Di prendere possesso di ciò che è e rimane dono. E quando ciò avviene si fa strada la violenza: fuori della logica del dono e della gratitudine si impone la sopraffazione. Purtroppo è cronaca di ogni giorno questa verità.

Gesù conclude la sua parabola, che chiaramente ha l’intento di profetizzare su quello che gli sta accadendo, con la profezia della pietra scartata che diventa la pietra d’angolo. Notiamo che è scartata da esperti costruttori, da chi ritiene di avere la maestria, l’abilità. Quello dello scarto, della cultura dello scarto, è un tema molto presente in papa Francesco. Una cultura per la quale ciò che non rientra in schemi predefiniti, chi non è funzionale all’efficienza, chi non sta dentro alla logica del profitto, viene eliminato. Si parla di cultura perché una tale logica, che determina  precisi comportamenti, tende ad assuefarci a ciò che inquieta e disturba, ma solo per un momento, perché ben presto diventa normalità. Ci si abitua e ci si adegua. Cultura, quella dello scarto, riconosciuta anche da chi, con un approccio sociologico (Bauman), parla di “rifiuti umani” che si affiancano a quelli urbani, industriali, alimentari…

Gesù aggiunge che ciò che è scartato viene preso da Dio per poggiarvi sopra la costruzione. Sembra quasi poco contestare lo ‘scarto’, così da trasformare ciò che è valutato ai nostri occhi inutilizzabile (inutile), insignificante… in fondamento. È una Parola sconcertante se Gesù non fosse quella pietra scartata. La fantasia di Dio trasforma un fallimento, un essere inadeguato in potenza. La debolezza umana in forza che edifica. Questo discorso di Gesù potremmo chiamarlo l’elogio dello scarto. Arriva ad indicare un progetto di relazioni sociali che poggiano su chi è più fragile, su chi non tiene il passo. È rivoluzionario se lo prendiamo sul serio, è paradossale pensare che un’impresa non poggia sull’efficienza bensì sulla debolezza umana.

Non credo di accostare in maniera arbitraria il santo Scalabrini a questa logica evangelica, quando, di fronte alle ondate di persone migranti, il nostro Vescovo non combatte solo per difenderle dai soprusi e dalle ingiustizie – di ieri come di oggi -, ma propone delle scelte pastorali e politiche che valorizzano questo flusso di poveri di risorse economiche, ma ricchi di speranza. Come dire: se un popolo, se una Chiesa vuole avere una visione, un futuro, necessita di persone che questo orizzonte lo alimentano, a caro prezzo. Sulla loro pelle. I migranti di qualunque provenienza sono accomunati dalla medesima lingua, quella della speranza. Sono portatori di attese, di speranze. E se fossero loro quel popolo – di cui parla Gesù – capace di produrre i frutti, rispetto ad una vigna ormai vecchia che non riesce a dare più frutti di novità evangelica?

Che il santo Scalabrini aiuti i nostri paesi e la nostra Chiesa a passare dall’essere esperti nello scartare, all’essere esperti nel costruire, a partire da chi è più fragile, ma anche più resistente, perché carico di una speranza invincibile.

Cattedrale – 08.10.23