Is 60,1-6 Ef 3,2-3a.5-6 Mt 2,1-12

In questa celebrazione è più evidente ciò che affermiamo, cioè che quello che celebriamo accade. Oggi noi stiamo facendo accadere l’Epifania. Infatti la nostra assemblea è la prima parola da leggere e accogliere. Non ci vogliamo fermare alla quantità e diversità delle bandiere che hanno aperto la processione d’ingresso e che, con un bel colpo d’occhio, compongono una corona attorno all’altare. Non ci lasciamo colpire dalla varietà delle lingue e dei canti con cui stiamo celebrando: è vero non ci è consueto; né dalla pluralità delle provenienze delle persone che compongono l’assemblea. Perché in tutto ciò siamo invitati a vedere il volto della nostra Chiesa. Non solo della Chiesa di Piacenza-Bobbio di domani, ma di oggi. Questa assemblea la rappresenta in modo eloquente.

È suggestiva questa immagine che sta davanti a i nostri occhi e insieme è provocatoria. A noi, abituati a pensare la parrocchia, la diocesi a partire dal nostro passato (spesso idealizzato) e messi brutalmente di fronte alla riduzione del numero dei partecipanti alle nostre celebrazioni, a noi, che tendiamo a pensarci in uno monocolore, oggi è messo innanzi il volto di una Chiesa multicolorata, che ha i tratti somatici, linguistici, culturali, ecclesiali compositi, plurali. L’invito è di abbandonare l’immaginario che sta alle nostre spalle. Non c’è più quella comunità ecclesiale.

Confesso che io quando considero la nostra Chiesa, il suo presente e il suo futuro, non ho in mente spontaneamente questo volto di comunità cristiana. Nel nostro Consiglio pastorale diocesano, ad esempio, dovrebbe essere presente l’espressione di questa varietà e ricchezza. Forse in noi c’è ancora l’idea che questi fratelli e sorelle sono tra noi ospiti, di passaggio. Che verso di loro si debba assicurare l’aiuto. Non è sempre avvertito il fatto che è iniziato un processo di trasformazione del nostro essere Chiesa e del nostro essere cristiani, per un’osmosi inevitabile, che possiamo favorire o rallentare, ma che è in atto. Papa Francesco ci direbbe che “la realtà è superiore all’idea”. Questo è il volto della Chiesa piacentino-bobbiese: a noi la responsabilità di promuovere lo scambio virtuoso, che chiede il convinto abbandono delle nostre presunzioni, il lasciar cadere un’idea esclusiva del cristianesimo, quella che ci ha generati.

Ci lasciamo introdurre in questa vera e propria conversione dalla pagina evangelica che ci parla di Re, esperti astronomi e astrologi – diremmo oggi – portatori di una cultura dell’osservazione della natura che li mette in un’autentica e coraggiosa ricerca. Re Sapienti. Hanno una dignità regale, che è loro riconosciuta, perché sono identificati così nel racconto e rappresentati nella tradizione popolare con la corona in testa. Cosa può voler dire attribuire a chi arriva nelle nostre comunità il titolo di ‘figli di Re’? riconoscere loro cioè una dignità che livella il nostro presunto senso di superiorità? Ciò che ci è chiesto è di modificare l’approccio iniziale, di prendere coscienza dei nostri pregiudizi, non di rado alimentati dal fatto che loro hanno bisogno di noi. In realtà ci viene detto che anche noi abbiamo bisogno di loro, a vari livelli. Possiamo dire anche relativamente alla fede. Se poi aggiungiamo che sono portatori di una Sapienza, che le va riconosciuta perché portatrice di vita e di tradizioni importanti, allora dovremmo essere curiosi di conoscerla e di stimarla. Solo in uno scambio vero le diverse culture, con le loro espressioni, possono arricchirsi.

Vorrei raccogliere a questo riguardo un criterio della ricerca dei Magi che vale per tutti. Quando giungono a Gerusalemme e si confrontano con la Sapienza di Israele, racchiusa nelle Scritture, portano una domanda che se fosse stata accolta anche da Erode e dagli abitanti di Gerusalemme avrebbe potuto essere l’occasione della vita: “Dov’è Colui che è nato?”. Per gli uni e per gli altri, per chi arriva e per chi è qui da tempo vale la medesima domanda che spinge a cercare. È la ricerca di Colui che è nato. Non c’è differenza nella comunità cristiana: ciascuno, per la strada che ha percorso, è chiamato a cercare e trovare Gesù. Troppo spesso la nostra fede si è ridotta a rincorrere e difendere delle idee. Attorno ad esse abbiamo trovato motivi per litigare e per separarci. Aiutiamoci, con le nostre singolari sensibilità, ad andare da Gesù. Fratelli e sorelle, tutti dovremmo essere attirati da quella luce. Tutti dovremmo andare verso Colui che può riscaldare i cuori. I pastori “si dicevano l’un l’altro: Andiamo fino a Betlemme”. Erode dice ai Magi: “Andate e informatevi…”. Sta qui la differenza: in quell’andiamo. Nella disponibilità o meno di mettersi in cammino verso Qualcuno che ci accomunerà nella medesima sfida della vita, cercare la verità. L’andare insieme, sostenendosi nel cammino darà forma così al volto di Chiesa che nasce dal stesso desiderio che ci attraversa, senza differenze: di vedere Gesù, di incontrarlo nella sua umana piccolezza.

Cattedrale 6 gennaio 2024