“Pellegrini di speranza”. Da quando papa Francesco ci ha consegnato il tema per l’Anno giubilare, tutti abbiamo colto quanto la scelta fosse ispirata e quindi l’urgenza di porre l’attenzione sulla speranza. A motivo, potremmo dire, proprio della sua debolezza. Essa, come è stato sottolineato, è ‘sinonimo della vita stessa’: è la speranza che dà vita alla vita. Se è così, allora la speranza è per tutti, è di tutti. È la qualità umana che trascende l’umano e ogni presente. La speranza è un inedito che ci appare all’orizzonte. In questo anno sarà doveroso non inflazionare il termine e svuotare il contenuto di quella virtù che è chiamata, con la fede e la carità, teologale, perché rappresenta il fondamento su cui ruota la vita battesimale.
Tra i molti contributi sul tema ho trovato suggestive le parole del card. Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione, che invita a “combattere la banalizzazione di una speranza che […] si proponesse di darci tutto senza chiederci nulla”. Il futuro che ci viene incontro nella speranza esige il coraggio di crederci e la disponibilità ad abbandonare i legami con il passato. Perché la speranza non è ottimismo né illusione. Bisogna camminare verso la speranza. E il Cardinale aggiunge: “La speranza è capace di instaurare un futuro perché attraversa ad occhi aperti il cuore del presente senza sfuggire alla sua dimensione crocifiggente” (Avvenire, 24.12.24). È quello che ho trovato nelle parole che una detenuta del nostro carcere mi/ci ha rivolto all’inizio della messa di Natale: “Dio viene a visitarci e donarsi, sempre e ovunque ci troviamo, nonostante tutto, si incarna nelle nostre vite e storie, ci raggiunge anche qui, tra le macerie delle nostre vite drammatiche, sofferenti, povere, di lutto. […] è quell’incontro con Lui che auguriamo avvenga nel cuore di ognuno ed elimini ogni buio, facendo tornare a risplendere la luce; segni un “prima” e un “poi”, così da poter dire, davvero, che oggi, anzi da oggi, è Natale!”. La speranza è una luce tra le macerie delle nostre esistenze, guardate e attraversate “ad occhi aperti”.
Queste considerazioni ci conducono al legame tra il Giubileo e la speranza: la verità di noi, delle nostre relazioni con gli altri e con il mondo, con le cose, con i beni, permette alla Grazia di generare speranza, futuro. Fare verità per far sorgere la speranza. Lo ricordavo il mattino di Natale nella messa in Carcere che è necessario fare verità sul proprio passato. Sulle scelte fatte, sulle nostre abitudini. Assumerci le responsabilità accettando il giudizio che la Parola di Dio pronuncia su quello che abbiamo vissuto, non cadendo nel rischio di autogiustificarci. Recuperiamo il valore e la bellezza di quella verità che il Signore fa e che sfocia nel sacramento della riconciliazione. È la verità che ci rende liberi. Quando si fa strada in noi la convinzione di non avere peccati ricordiamo le parole della prima lettera di S. Giovanni: “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (Prima Lettera di Giovanni 1,8-9). Questa è il passaggio obbligato per fare un’altra verità, quella che riguarda il nostro futuro. Il Signore apre il domani a ciò che non abbiamo ancora immaginato, esplorato, forse neanche considerato possibile. Nel momento in cui il nostro passato è messo nelle sue mani e nel suo cuore Egli fa intravvedere un futuro che da noi stessi riteniamo impossibile. Ce l’ha ricordato s. Giovanni: “ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (Prima Lettera di Giovanni 3,2). Il bello di noi deve ancora venire. Lasciamoci raggiungere dalla speranza.
Il Giubileo è uno dei momenti più densi di universalità. In questa domenica in tutto il mondo avviene il medesimo invito ad aprire la vita alla Grazia. In tutto il mondo. In tutte le lingue e culture. E per tutti, nessuno escluso. È un invito che riguarda, senza differenze, tutte le generazioni, dai piccoli agli anziani. C’è bisogno di speranza per tutti. Per questo c’è la necessità di custodire la speranza anche degli altri. Nella cura che ci è affidata, non può mancare questa dimensione. Questo Anno Santo ci raccomanda di diventare Custodi di speranza, custodi del desiderio di futuro. A diversi livelli c’è la responsabilità di non mortificare la speranza, in particolare, nelle nuove generazioni. Rischiamo seriamente di farla morire in loro. Ce lo stanno ripetendo in diversi modi. I messaggi di preoccupazione che ci arrivano riguardano un futuro incerto e minacciato; sono relativi alle risorse del pianeta; sono motivati dalle distruzioni che i conflitti stanno procurando e dai solchi che si stanno scavando tra le nazioni e i popoli. In gioco è la fiducia in un domani. Della sua stessa possibilità: il loro futuro ci è stato dato in prestito. Ma c’è una domanda più profonda, della quale in parte non c’è consapevolezza, vale a dire la ricerca di un senso che la fede dischiude. La speranza non fiorisce in un mondo senza cielo. C’è cielo sopra la nostra testa? Nel nostro cuore?
Avremo modo di percorrere i sentieri della speranza che ci verranno indicati per il Giubileo: il pellegrinaggio; tempi e luoghi della fede da ricercare e da abitare con calma, interrompendo la nostra frenesia ossessiva; opere di carità, attraverso le quali l’Amore di Cristo agisce, in una circolarità sorprendente, perché il centuplo è già presente nel dono. Nella Lettera per l’Anno santo che metto nelle vostre mani potremmo riflettere sul senso dell’indulgenza da ricevere e da invocare per i nostri defunti.
Ho voluto che in questa celebrazione fossero rappresentate tutte le realtà della città e del territorio, le autorità civili e militari, il mondo associativo, la vitalità del volontariato; che fossero rese presenti anche quelle persone che per vari motivi vivono ai margini, a ricordarci che tutti devono sentirsi invitati e partecipi di questo cammino. Tutti pellegrini animati da quella “speranza che non delude” (Lettera ai Romani 5,5). C’è una speranza personale come una speranza sociale.
Concludo con un augurio preso in prestito dalla nostra sorella detenuta: lasciamoci sorprendere dal mistero di un Dio che ci cerca “a cui ciascuno, oggi e da oggi, possa dire il proprio ed incondizionato “sì”, nella felicità, letizia e vera gioia che nasce dal riconoscersi peccatori, ma perdonati e amati, certi che, indipendentemente dalle tribolazioni e prove che tutti qui attraversiamo, Dio farà parte della nostra storia non perché la muta ma perché interviene e la convoglia al bene”.
Buon Anno Santo!