È il Vangelo di Luca che quest’anno ci fa entrare nella Pasqua di Gesù e dei discepoli. Il vangelo ci parla di una comunità smarrita dopo gli eventi del venerdì di passione e il silenzio mortale che ne è seguito. Una comunità alla ricerca di qualche frammento di Gesù: qualche ricordo, magari qualche reliquia da portare con sé. Le donne che vanno al mattino presto al sepolcro per ungere il corpo, per compiere così l’ultimo gesto di premura verso il cadavere del maestro. Non resta che la riconoscenza.
E i due di Emmaus in cammino a ritroso verso casa: frugano nella loro delusione. Scoprono che era troppo bello per essere vero.
Il venerdì (allora era tutt’altro che santo! Era maledetto/infausto, come diremmo noi: uno di quei giorni da cancellare dal calendario) con il suo carico di morte drammatica aveva tolto vita anche a chi era sopravvissuto. Niente era rimasto in piedi.
Quel venerdì e i tanti venerdì della storia: di ieri e di oggi. Nei quali il dolore si acuisce, ancora di più, il sabato. Il giorno successivo, abitato dal silenzio e dalla solitudine, dall’esperienza della assenza. Con Gesù era morta anche la promessa di Dio. È la fine di tante cose. Crolla tutto.
Questa esperienza umana l’abbiamo conosciuta in edizioni diverse. Ma sempre la stessa. Come quella che abbiamo vissuto negli anni scorsi e che si ripropone anche oggi.
“Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. È l’annuncio di Pasqua: cercate dalla parte giusta! Rovistare tra ciò che non c’è più è rimanere incagliati nel venerdì di passione. È restare impigliati nel silenzio del dolore.
Dio, con Gesù, ha introdotto una presenza di vita, di amore fedele. Ma il terzo giorno. C’è uno spazio tra la morte e la risurrezione. Spazio temporale ed esistenziale necessario perché si impari a riconoscere dove ora Lui è presente. E con Lui la vita.
Sono nostre le reazioni degli apostoli al racconto delle donne: “Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento…”. Se aderiamo immediatamente al dolore, non così è verso la speranza, verso la Pasqua. Perché vorremmo avere la certezza di ciò che è incredibile. Invece è necessario (con Pietro) alzarsi e correre al sepolcro. Andare incontro alla speranza. Dare credito alla testimonianza che è giunta a noi è condizione perché i nostri occhi si aprano. E con gli occhi, il cuore si apra alla speranza.
Il venerdì non è l’ultimo giorno della settimana. Ma la domenica: l’ultimo a cui tendono gli altri e il primo da cui tutto è generato. Di nuovo. L’augurio che rivolgo a tutte e a tutti: non restiamo inchiodati nei nostri venerdì di dolore, di delusione e di morte, c’è una domenica di Pasqua e di vita. Proprio per tutti. È giorno di Dio e del Suo amore. Buona Pasqua!