Assunzione della Beata Vergine Maria
Cattedrale – 2025
Ap 11,19;12,1-6.10 1Cor 15,20-26 Lc 1,39-56
Ogni essere umano, prima o poi, si interroga sul proprio destino e perciò sul senso di ciò che fa: verso dove sto/stiamo andando? La nostra fede ci viene in aiuto facendoci alzare lo sguardo al cielo: il cielo c’è (e guai se la terra non avesse un cielo), ma ci è inaccessibile. Lo possiamo scoprire, abitare, attraversare… ma non conquistare. In questo cielo, che rappresenta ciò che ci oltrepassa e ci è necessario, contempliamo Colei che per grazia è stata assunta “in corpo e anima”. A lei è stato anticipato ciò che attende tutti coloro che beneficiano della vittoria di Cristo sulla morte. Maria ci assicura che ogni nostro cammino ha una meta che raccoglie tutto ciò che siamo stati: tutto il cammino percorso, le nostre decisioni e le nostre persone (appunto corpo e anima). Questa Solennità ci dice quanto sia da prendere sul serio ciò che viviamo, non perché esaurisce tutto il nostro essere, ma perché le nostre scelte sono parte del nostro destino, del nostro compimento. Noi decidiamo di noi e di ciò che si compie. La Solennità dell’Assunta ci conferma che nella terra c’è già il cielo e che esso è il cielo della terra, perché nel cielo abita la terra che siamo e che vogliamo essere.
In questa nostra celebrazione si intrecciano due feste, due tradizioni, due cammini di popolo. Accomunati da quell’annotazione con la quale si apre il brano della Visitazione: “Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda”. Maria ci è descritta nel gesto di partire: Maria in viaggio, pellegrina, “…andò in fretta”. Maria non fa un trasloco raccogliendo tutto quello che poteva avere. Prende con sé il necessario, sapendo che avrebbe potuto contare in chi avrebbe visitato. Porta se stessa. E’ questa la cosa più preziosa e più importante. Le sue mani sono libere per poter stringere altre mani, per poter abbracciare e per servire, per poter ricevere e poter dare.
Penso a voi, fratelli e sorelle equadoregni convenuti in modo particolare e così numerosi anche quest’anno per la Virgen del Cisne. Anche voi siete partiti senza poter portare tutto. Ma non avete portato solo la vostra povertà di mezzi. Avete portato con voi tanta speranza, tanta attesa. Non smetterò di ripeterlo: se una mano è tesa per chiedere (lavoro, sicurezza, futuro), l’altra deve essere altrettanto protesa per offrire ciò che fa la cultura, ciò che fa la vostra persona, le vostre famiglie, ciò che fa il vostro popolo, che vi appartiene. Ci potete offrire la vostra tradizione di fede, la semplicità di una umanità che riesce ancora a stupirsi, a meravigliarsi. Ci potete offrire la naturalezza con la quale vivete la fede. Ne abbiamo bisogno noi che tante volte ci vergogniamo di manifestare la nostra fede, vittime di un infantile senso di inferiorità. Abbiamo bisogno di quello che portate.
La pagina dell’incontro gioioso tra Maria ed Elisabetta ha il suo coronamento nel Magnificat che sprigiona da cuori, da vite piene di Dio. Questa festa è la festa del Magnificat, della lode, del ringraziamento per l’opera di Dio. La Vergine Maria è la donna pura di cuore che vede Dio all’opera. A partire da sé lo riconosce dentro la storia, nella quale sembrano prevalere i superbi, i potenti, i ricchi, che vivono nell’illusione derivante dall’avere mani piene. Piene di sé. Avide e sterili. Non possiamo negare che anche in questi giorni tale logica non risulta affatto rovesciata, perché sembra prevalere la forza che dà diritto di prevalere sugli altri. Chiediamo a Maria che ci aiuti a sperare con chi ormai ha perso tutto, soprattutto la speranza e la fiducia negli uomini. Oggi potrebbe essere un giorno di apertura verso la fine delle ostilità tra Russia e Ucraina. Ma la potenza distruttrice delle armi non cessa di seminare morte. Pensiamo a Gaza e a tanti altri luoghi della terra. Maria, donaci la tenacia nel continuare a sperare contro ogni speranza (Rom 4,18); nel continuare a dare credito che l’umano abitato dalla presenza di Dio prevalga su ogni forma di dominio. Donaci la grazia di non abituarci ai numeri che, freddamente e anonimamente, descrivono il dramma di tante piccole esistenze strappate.
Maria, Regina della pace, prega per noi.




