Cattedrale – 31.12.21

Nm 6,22-27 Gal 4,4-7 Lc 2,16-21

Proviamo a tenere insieme questi due giorni: l’ultimo giorno dell’anno che si conclude e il primo giorno di quello che si apre. La liturgia, o meglio la tradizione popolare di fede, identifica questa celebrazione con le prime parole del canto di ringraziamento e di lode che concluderà questa celebrazione eucaristica: “Te Deum” (Noi ti lodiamo Dio, ti proclamiamo Signore). Ci è messo sulle labbra un canto di lode e una confessione di fede in Colui che è Signore della vita, della storia, della Chiesa, di ogni uomo-donna. Un anno deve aprirsi carico di memoria grata. Altrimenti viene vinto e risucchiato dentro al vortice dell’incertezza. Oggi più che mai.

Se un anno solare di vita è tutto concentrato sul ringraziamento, allora ci è chiesto prima di tutto di dare nome ai motivi di lode. E vorrei suggerire di cercarli in filigrana nel messaggio del papa per il primo gennaio dell’anno che si conclude. Egli affidava i giorni che ci stavano davanti nel costruire una “cultura della cura”. Se vogliamo, una “cultura”, cioè una mentalità costruita in gesti quotidiani “della custodia”. Ci è stato ricordato che la nostra esistenza, la convivenza, il creato sono da custodire perché preziosi e deboli insieme. Allora, alla conclusione di questo tempo proviamo a raccogliere davanti al Signore i gesti, le scelte, i comportamenti che hanno custodito e quelli dai quali siamo stati custoditi. Perché, quando questo non avviene, la conseguenza prima è che siamo più vulnerabili, più deboli, maggiormente esposti.

È fin troppo facile pensare al Coronavirus e alla resistenza che il virus mette in campo rispetto ai nostri tentativi di debellarlo.

Fa pensare – ce lo dicono che è tipico dei virus – che la sua forza sta nel variare, nel mutare. Si può dire una forza inserita nella sua natura di difendersi variando, mutando, cosa che lo rende difficile da attaccare, resistente nel tempo. Di contro, la nostra tendenza ad agire per abitudini, con la fatica che stiamo vivendo, di modificare stili di vita, comportamenti. E così diventiamo deboli.

Il prolungarsi di questa emergenza può diventare, paradossalmente, un’opportunità per pensarci in una permanente conversione, in un mutamento necessario per custodirci in un tempo di grandi cambiamenti. Riuscire a ringraziare il Signore, oggi, non significa chiudere gli occhi di fronte al dramma e alla sofferenza, né ai disagi che stiamo patendo, né tantomeno negare la realtà come una parte della popolazione sta facendo, esponendo se e gli altri ad imprevedibili conseguenze. Custodire, infatti, è una doverosa responsabilità attraverso i mezzi oggi a disposizione. Ringraziare il Signore è cogliere che c’è un appello ad una diversa qualità del nostro vivere, un invito a considerare gli stretti legami che ci uniscono.

Se alla parabola del Covid-19 sostituiamo quella della custodia della fede o delle nuove generazioni… l’appello è simile. Custodire, prendersi cura non significa ripetere materialmente ciò che abbiamo ricevuto, ma affiancarsi con un supplemento di passione. L’appello è a rimettersi in discussione, per essere credibili e per trasmettere fiducia. Compete a noi adulti, a noi credenti offrire sguardi di speranza.

Ed è ciò che siamo chiamati a vivere con il Cammino sinodale: modellare il nostro essere Chiesa a partire dalle domande che riusciamo ad intercettare. Cercare di esprimere un volto di comunità che si arricchisce del contributo di tutti e di ciascuno.

Ricordavo, all’inizio, la necessità di tenere uniti questi due giorni (oggi e domani), perché solo dopo un momento di lode come quello che stiamo vivendo potremo guardare avanti guidati dalla certezza che il Signore fa risplendere ancora il suo volto, farà diventare la cronaca che ci attende un tempo di grazia, un tempo di pace. Dio infatti non smette di avere pietà di noi e di benedirci.

Buon Anno.