Seminario

Ho concluso la Visita ai primi tre vicariati, che hanno al loro interno territori diversificati (pianura – collina – montagna). Non è questa l’occasione per fare bilanci, anche se al termine di ogni Visita c’è un momento di verifica (anche per questo voglio ringraziare don Paolo Cignatta e i direttori degli uffici). Mi sento in dovere di ringraziare il Signore per questi mesi, perché sono davvero molti i doni che ho ricevuto nelle relazioni con i sacerdoti, di familiarità e confidenza, frutto della possibilità di condividere la vita per cinque giorni; ma anche con tante persone incontrate, anche solo in forma occasionale, che hanno aperto il cuore e si sono affidate alla mia preghiera; sono grato per tanti incontri con operatori pastorali, appassionati, come pure con categorie della società civile, del mondo del volontariato…

Avevo espresso, nella Messa di apertura in Cattedrale, il desiderio di riconoscere, durante la Visita, “pagine di vangelo”. La disponibilità all’ascolto e alla ricerca del Signore, nelle situazioni, negli incontri, porta ad imbattersi in queste pagine, scritte, a volte, a più mani.

Mi sono chiesto quali considerazioni oggi posso raccogliere circa la vita e il ministero dei sacerdoti (e diaconi) da condividere da subito con voi.

1_   In più di un caso la visita del Vescovo è stata l’occasione per avviare, di fatto, la Comunità Pastorale; per il costituirsi e/o il ritrovarsi della Koinonia, in vista della definizione del programma; occasione per favorire l’incontro dei diversi operatori (catechisti-ministri straordinari della Comunione) e permettere loro di conoscersi e, con sorpresa,  scoprire affinità, simpatia e sostegno reciproco.

Possiamo dire che in questi casi ha sorpreso tutti (per lo più positivamente) questa accelerazione forzata. E’ proprio vero che la scoperta delle risorse e delle opportunità non dipende da noi. In alcuni casi la sorpresa ha coinciso con il superamento di steccati. Si manifesta anche in questo modo la Signoria  di Dio  nella Chiesa, nell’imprevedibile. A voi sacerdoti e diaconi è affidata la responsabilità di procedere in questo cammino. E’ chiesto un atto di fiducia. Abbiamo la responsabilità di non far spegnere il lucignolo della fiamma ancora debole.

Non possiamo assecondare le resistenze che ancora ci sono e che tendono a far leva sulla precarietà ed incertezza delle cose avviate. Gli inizi sono inevitabilmente acerbi e deboli. Alimentiamo l’entusiasmo che è stato avviato. In questo caso lasciamoci scaldare il cuore.

2_  Molti ritorni positivi  della Visita sono relativi alla vicinanza, allo stile di prossimità (sottolineatura che sarà presente nelle linee della fase profetica del Cammino Sinodale). C’è un linguaggio nell’incontro, nella relazione che è molto più efficace di quello organizzativo.

So bene che la relazione è impegnativa, perché alla disponibilità di esserci e di stare si unisce il dovere di stare anche con chiarezza.

Credo sia un capitolo da tenere aperto anche nella nostra formazione: saper dire dei no (motivati) e riuscire a sostenere il conflitto è logorante e nel tempo può indurre a lasciar perdere. Anche per questo l’essere in sintonia tra noi è di grande aiuto. Direi indispensabile.

La relazione ci misura, perché se l’esercizio di un potere, che è proprio di ogni ruolo, può essere una forma di difesa, quando ci mettiamo in gioco nella prossimità si fa strada la necessità di farci qualche domanda: prima che evidenziare quello che deve cambiare negli altri (per essere evangelizzati) è decisivo chiedersi cosa deve cambiare in noi perché il Vangelo di Gesù ci rinnovi e ci abiti.

Già ce lo siamo ricordati: evitiamo, per quanto ci è possibile, di metterci in difesa per cogliere l’opportunità che in questa situazione ci è data di ricentrarci su Colui che ci ha chiamati a seguirlo, e continua a farlo. Non abbandoniamo la strada della sequela.

La testimonianza di Pietro è chiara: sono diverse le chiamate nella sua vita e per lo più coincidono con momenti di crisi, fallimentari. Vorrei suggerirvi il libro di Fratel Michael Davide,  “Preti senza battesimo?”, ed. S. Paolo, perché provocatoriamente ricorda che il livello battesimale della nostra vita non può essere dato per scontato. E’ da salvare questo, prima di tutto.

Ci è stato ricordato, durante la recente Assemblea Generale dei Vescovi italiani, quanto Papa Benedetto XVI aveva consegnato alla Chiesa (26.09.2009): se è questo il tempo di minoranza possiamo scegliere se essere “minoranza aggressiva” (alla ricerca del colpevole ad extra e ad intra); “minoranza remissiva” (nel ritiro in circoli esclusivi); “minoranza creativa” (nella ricerca di dare vita, di generare qualcosa di nuovo). Non è facile, perché non ci sono ricette preconfezionate, ma delle opportunità nascono anche grazie agli evidenti segni di rottura con il passato: dobbiamo riconoscere di non essere più in grado di rispondere alle attese, ancora esagerate, nei nostri confronti.

3_     In forme diverse e con attese differenti ho vissuto momenti belli e promettenti di incontro tra sacerdoti. Tra le opportunità di questo tempo c’è il recupero di un “noi”. Di un “noi affettivo” (che esige tempi, interessi, condizioni, attenzioni reciproche); di un “noi ministeriale” (che non si può dare se non si creano luoghi di programmazione e di verifica); di un “noi credente” (che prende forma nella condivisione della vita di fede).

Facciamo la fatica di rompere il ‘fascino’ dell’isolamento: prima di patirlo esso ci ammalia con la sensazione di tranquillità, di momentanea comodità, di rivendicazione di spazi propri.  

Il Vicariato può essere un livello presbiterale che aiuta a superare il campanilismo. Tentazione presente nei laici, ma da cui non siamo esenti. Non ci si limita quando ci si apre e si collabora, ma ci si arricchisce e si possono mettere insieme le ricchezze presenti in noi  e nelle nostre comunità.

Vorrei rendervi partecipi, a questo riguardo, di quanto è emerso nel Consiglio pastorale vicariale della Val Nure. Nel considerare che il Vicariato è lungo e ha al suo interno realtà sociali-territoriali ed ecclesiali molto diverse, quando è emersa l’opportunità di avviare delle iniziative a livello vicariale (ad esempio per giovani – adulti) è nata l’idea di proporre un cammino vicariale formativo itinerante per giovani – adulti – famiglie, così da permettere a chi vuole, anche nelle realtà di  montagna, di partecipare. Una proposta suggestiva e innovativa.

4_   Senza nulla togliere al valore delle celebrazioni (eucaristiche in particolare), ho colto (e condiviso) il rischio che la pastorale (in modo speciale nelle aree montane) si riduca alla prassi liturgica sacramentale. E questo senza differenze nel periodo invernale come in quello estivo. L’unica differenza è il numero dei partecipanti. Se vogliamo che una prassi liturgica valorizzi la sua forza è fondamentale che essa sia espressione della comunità che partecipa in modo ministeriale (vedi il cantiere del Cammino Sinodale).

Se non riusciamo a combattere l’appiattimento su un luogo (ognuno vuole a casa propria la celebrazione) e su di una certa pigrizia mentale, rischiamo di trovarci svuotati, immersi in un attivismo che può sterilizzarci.

In questo caso dovremo chiederci cosa comporta una pastorale ‘turistica’, cioè destinata a quanti approdano ai nostri borghi di collina/montagna, o nei fine settimana o durante l’estate. Dove sarebbe bello che chi si fa promotore di queste iniziative sia la comunità presente e non solo il sacerdote, magari favorendo il convergere tra le piccole realtà.

Questo è un tempo di opportunità per uscire e affrontare  delle sfide culturali, oltre che ecclesiali, molto impegnative. Sento risuonare in me come potente il tema del giubileo che andremo a vivere: “pellegrini di speranza”. Due termini: pellegrini e speranza, che vanno coniugati. Uno dice un movimento spirituale (cioè l’azione dello Spirito), che ci fa disponibili ad un cammino, l’altro evoca il futuro, senza il quale non viviamo. Ma è un futuro che ha nel Signore il protagonista e l’approdo: è Lui la nostra speranza.