Ez 34,11-16

Lc 15,1-10

 

C’è una triade di verbi che ritornano in queste due pagine della Scrittura: perdere – cercare – trovare. Ed è necessario ricordare che di essi il primo protagonista è il Signore: è Lui il (buon) pastore, è Lui che si identifica con la donna che si mette a cercare la moneta. Ma in questo senso è anche Lui che perde, e la cosa può diventare un po’ consolante. Quindi questo movimento di perdersi/smarrirsi… è nostro. Intendo anche di noi sacerdoti. Anche mio. E non è detto che il primo o l’unico modo di perdersi, di smarrirsi sia quello morale (cioè del peccato). È vero che nel vangelo è usato per riferimento alla scelta di Gesù di mettersi a tavola con i peccatori, ma dobbiamo immaginare che questa condizione di smarrimento si possa riconoscere anche nel trovarsi senza riferimenti, senza Gesù, in una fede indebolita, fuori dal gregge (che può essere il presbiterio… la Chiesa… il ritrovarsi con un’appartenenza debole o sbiadita). Quel perdersi può essere la conseguenza di tanti piccoli passi, non necessariamente di scelte clamorose. E questo fatto può richiamare l’attenzione a non sottovalutare i particolari che ci possono custodire o al contrario ci possono portare alla deriva. Abbiamo ricordato che il Signore ci cerca, ci rincorre, non ci abbandona alla nostra solitudine. Lo sta facendo, e perciò dovremmo essere attenti a riconoscere i gesti di Gesù di venirci a trovare (persone, cammino di Chiesa, Parola di Dio…).

Insieme la Parola di Dio ci richiama alla cura del pastore, secondo il cuore di Dio. Se non vogliamo smarrire il nostro radicamento in Gesù, la cura pastorale non può che essere centrata nel “cercare”. Infatti il verbo medio, quello centrale nella dinamica evangelica raccolta dai tre verbi è il cercare. Al centro delle relazioni c’è la ricerca dell’altro!

Mi sembra che finora il nostro ministero si sia giocato prevalentemente nell’aspettare: che le persone vengano in parrocchia-chiesa… che le persone chiedano i sacramenti e altri servizi… che ci cerchino per dialoghi o cammini di fede.

In realtà nella nostra tradizione pastorale c’era qualche segno dell’andare (la visita alle famiglie – qualche proposta alla città aperta alla libera partecipazione…). Eppure dobbiamo riconoscere che siamo poco propensi a farlo. Anche perché il cercare ci espone molto: ci espone all’insuccesso, al rifiuto, alla perdita di tempo (del poco che diciamo di avere), ci esponiamo, alla fine, al mancato riconoscimento di un ruolo, perché quando usciamo dal nostro habitat ecclesiale, viene meno il ruolo con le sicurezze connesse.

Cercare ci espone all’essere in balìa di chi troviamo e dove lo troviamo. Le parole di Gesù parlano di una ricerca sproporzionata, ad alto rischio: “Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?”. Anche no! Non c’è proporzione. Ne vale proprio la pena? Diciamoci pure che troviamo mille giustificazioni per coprire i nostri comportamenti abituali: “in fondo se l’è cercata…”, oppure: “sa bene dove trovarmi/ci”…).

Il cercare ci permette di raggiungere le persone lì dove sono senza maschere. Con molta verità. E smaschera anche noi mostrando quello che siamo. Realmente.

Il cercare è del pastore – della donna… eppure non è mai chiuso in sé stesso, perché una volta trovato ciò che si cerca c’è sempre la condivisione della gioia, testimoniato in tutte le parabole della misericordia. È un ricollocarsi e ricollocare la ricerca e il trovare in una relazione comunitaria (amiche/amici e vicine/vicini). Il pastore che vive in modi diversi un atteggiamento di ricerca ha davanti a sé come approdo il ripristino del legame comunitario! I legami fraterni sono l’obiettivo ultimo della cura pastorale. Una ricerca da fare in prima persona ma non in maniera isolata, che chiede opportunamente il coinvolgimento (magari fin dall’inizio) di altre persone della comunità.

Questa Parola ci rinvia a riprendere l’atteggiamento della ricerca di chi non viene, di chi (magari) neanche ci aspetta, di chi si è allontanato con determinazione. Il cercare è condotto non da presunzione di avere ragione o qualcosa da comunicare, ma da passione. Per Gesù e per i fratelli. Per noi stessi quell’andare è motivo di salvezza, perché ci permette di scoprire e di abitare spazi esistenziali nei quali il Vangelo può manifestare la sua potenza salvifica per gli altri e per noi con loro.