La liturgia ci fa entrare nella Settimana Santa con l’ingresso festante e osannante di Gesù a Gerusalemme. Gesù sembra voler richiamare l’attenzione di una città in gran movimento per i preparativi della Pasqua e invasa da molti pellegrini.
L’evangelista Matteo annota che “Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?»”. Gesù attira su di sé una domanda che suscita l’interesse a capire di chi si tratta e cosa sta succedendo. Stupisce che un fatto, non di particolare rilievo, abbia questo effetto “su tutta la città”. Non sembra che oggi registriamo altrettanto interesse per quello che stiamo vivendo. Non solo verso la celebrazione della Pasqua.
È proprio il disinteresse di molti (o dei più) che fa riflettere. Come pure l’assuefazione che rischia di coinvolgere tutti. Come mai questa distrazione per ciò che accade? O quanto meno l’interesse fugace anche per le cose più serie? Abbiamo la sensazione che non siamo più propensi a porci domande profonde. Non pensiamo agli altri. Pensiamo a noi.
La domanda è doverosa: che cosa sta attirando la mia attenzione? Come mi lascio interrogare da quanto accade?
Senza domande non c’è ricerca. Senza desiderio di capire è difficile mettersi in cammino. Crescere. Allora in questo caso ci può mai essere qualcosa di nuovo?
La domanda si può estendere al compito che ci è affidato come cristiani: siamo in grado di suscitare delle domande in chi incontriamo? O arriviamo sempre con risposte per lo più lasciate cadere perché, semplicemente, non c’è domanda nelle persone? E non solo nei più giovani.
Gesù, nella scena dell’ingresso a Gerusalemme, realizza la profezia del Re che irrompe nella scena della storia. Sicuramente un Re presentato in modo surreale: cavalca un’asina, un animale umile, da lavoro più che da combattimento; ha attorno a sé un esercito di persone che brandiscono rami di pianta.
Cosa pretende di conquistare o di difendere con questi mezzi? Il suo futuro è segnato. Eppure c’è coerenza con le parole pronunciate da questo rabbì nel discorso della montagna: “beati i miti, perché avranno in eredità la terra”. Non la conquisteranno, né la domineranno. La erediteranno come figli e figlie di chi è Creatore e Padre. Di chi una terra l’ha promessa. Come dono. La via della croce è la via della mitezza: è rinuncia ad ogni forma di possesso e di potere che prevarica. Una profezia di ieri e per il nostro oggi.
Questo Re va incontro ad una lotta senza paura. Perché è la paura che ci arma. Perché è la percezione dell’altro come nemico che ci mette in posizione di difesa aggressiva. Eppure è da ritenere che l’uomo-Gesù abbia conosciuto la paura, ma abbia intrapreso su di sé il percorso per vincerla. La vera battaglia che ha combattuto è stata con se stesso, prima di tutto, e con le sue paure. Lo testimonia quella pagina straordinaria di umanità che si apre nella fede, che è la preghiera notturna al Getsemani.
Di fronte a quello che stava per vivere, provò “tristezza e angoscia”, ci dice il Vangelo. Sentimenti espressi davanti al Padre: chiese di non attraversare quella prova, mettendosi però nella disponibilità di viverla come obbedienza a Lui (“Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”).
Gesù ci prende per mano per condurci all’unica vera vittoria a cui ambire. La vittoria su se stessi e sul nostro bisogno di dominare. Se non si lotta per questa vittoria, il nemico lo si cerca fuori di noi, con la conseguenza che l’ostilità e l’inimicizia prendono il sopravvento. Cambierà il nome dell’interesse da difendere, di volta in volta sarà personale, familiare, di gruppo o nazionale, ma il risultato è lo stesso: i conflitti si trasformano in guerra. Così non si trova pace.
Augurarci una Buona Pasqua significa esprimere a vicenda il desiderio di far nostra la mitezza dell’Agnello che toglie il peccato del mondo. Affermare la volontà di convertirci alla mitezza che smaschera nei peccati la loro radice, vale a dire il delirio di onnipotenza che genera solo morte. In noi e fuori di noi. Buona Pasqua.

†  Adriano Cevolotto,
vescovo di Piacenza-Bobbio