CARCERE NOVATE
Dio ha deciso, con grande sorpresa, di entrare nel mondo dalla periferia del mondo. Betlemme era una periferia di Gerusalemme, il centro della fede del popolo ebraico. La Galilea, da cui viene Gesù (Nazaret), è la periferia di Israele (contaminata dall’incrocio di tante culture). Anche il carcere è uno dei luoghi di periferia di una città come della società che la abita. Se vale la logica del primo Natale, questo luogo è uno di quelli preferiti da Dio per venire in mezzo a noi! Le parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato risuonano oggi in questa comunità con forza: “E tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata”. Ricercata dal Suo amore che non si arrende e per questo non abbandonata a sé stessa.
Perché se il Natale è l’irrompere della luce che squarcia le tenebre, qui c’è bisogno di luce. Non solo per chi è detenuto per riuscire a vedere luce sul proprio cammino, ma una luce che attira anche i nostri sguardi abbagliati da altre luci. Per vedere in modo diverso voi, fratelli e sorelle.
Sapete che ieri sera Papa Francesco ha dato inizio all’Anno santo con l’apertura della Porta santa e in diocesi è previsto di farlo domenica prossima. Stamattina vorrei idealmente aprire l’Anno giubilare con questa celebrazione, perché se questo Anno di grazia ci vuole tutti “Pellegrini di speranza”, qui la speranza è e deve essere di casa. Non perché da noi soli riusciamo a mantenerla viva. La speranza in noi non è inesauribile. Spesso perdiamo la speranza. È Gesù la nostra speranza, Colui che assicura un futuro a partire dal suo amore che non viene meno. Egli viene a prenderci per mano per inoltrarci su passi non ancora esplorati e lo fa partendo da un’opera propria della luce: fare luce, nel senso di fare verità. La verità di noi. Delle cose. Delle relazioni. Quando diciamo che Egli fa verità ci riferiamo a ciò che siamo stati, ciò che abbiamo commesso. Esige di assumerci fino in fondo le nostre responsabilità. Senza alibi. Ma Gesù fa verità anche rispetto al nostro futuro, verso ciò che finora non abbiamo ascoltato, immaginato o visto, considerato possibile. Forse perché nessuno ci ha aiutato a farlo. Parlare di speranza per ciascuno di voi e di noi, significa che il bello deve ancora venire!
Se il Signore viene a sciogliere le catene, vuol dire che viene a liberare occhi (miopi), orecchi (tappati), passi (pigri), mani (chiuse), cuori (induriti). Mi ha sempre colpito quello che d. Oreste Benzi ripeteva ai suoi: non chiedere a chi bussa da dove viene, ma dove vuole andare.
C’è un proverbio che dice: “Finché c’è vita c’è speranza”. Vale – forse di più – che “finché c’è speranza c’è vita”. È la speranza che tiene viva la vita e apre il futuro.
Il bambino che nasce a Betlemme e vuole rinascere qui e in te è la nostra speranza perché è l’amore invincibile e gratuito che abita il presente, il passato e il futuro.
Buona speranza a tutti e a tutte.