Is 62,11-12 Tt 3,4-7 Lc 2,15-20

Ho incontrato persone che aspettano che il giorno del Natale passi. Abbiamo infatti rivestito questa festa di poesia, di bei sentimenti, di serenità. Al punto che chi non è nelle condizioni di vivere tutto questo “pacchetto natalizio” si intristisce e, per l’appunto, vive in apnea quel giorno nel quale si impongono piuttosto l’assenza, la distanza, le fatiche e i dolori. Se il Natale fosse (solo) questo ci troveremmo di fronte ad un’ingiustizia. Molti ne sarebbero esclusi.

La bellezza del Natale e la gioia che porta con sé si accompagna al suo messaggio che, almeno in parte, disturba e salva allo stesso tempo. La pace del Natale è destinata a tutti, al di là della condizione di partenza.

Non ci abbiamo pensato che il Natale inquieta? È proprio così facile accogliere il Dio che si presenta con tutti i tratti della debolezza umana e sociale? Non è sconvolgente che Colui che è l’Onnipotente scelga di poter essere rifiutato, non accolto, esiliato? Siamo proprio tranquilli di fronte al fatto che il Principe della Pace entri nel mondo disarmato? È questa cosa qui il Natale del Figlio di Dio. Egli salva proprio a partire da questo modo di rivelarci il volto di Dio e la condizione dell’uomo.

Non può non disturbare noi che respiriamo l’aria inquinata dal delirio dell’onnipotenza, in ragione della quale ‘volere è potere’; aria inquinata dall’ebbrezza della forza che sopraffà, che domina, che primeggia sottomettendo. Inaliamo a pieni polmoni le ‘polveri sottili’ dell’io assetato di piacere, di denaro, di possesso. Quanto è insostenibile accettare un rifiuto! Il Natale è un dolce ed energico schiaffo a questa cultura a cui ci assuefacciamo velocemente, nascondendoci dietro alle frasi: “così gira il mondo!”, “così fanno tutti!”.

Natale ci dice che c’è Uno che ha scelto diversamente: è venuto a condividere i luoghi della nostra debolezza, delle nostre prigionie e schiavitù, figlie di quella cultura a cui ci siamo arresi. È il caro prezzo che paghiamo alle illusioni. Perché scopriamo sulla nostra pelle, avete scoperto sulla vostra pelle, cari fratelli detenuti, l’inganno dell’io innamorato di sé stesso.

Se il Natale è un pugno nello stomaco lo è per risvegliarci alla misura della nostra umanità che è resa forte nella fragilità e debolezza; che è vera umanità quando, presa in cura da qualcuno che ci vuole bene, diventa capace a propria volta di essere preziosa per qualcun altro. Papa Leone al recente Giubileo dei detenuti ha ricordato l’importanza del “lavoro sui propri pensieri e sentimenti”, che per voi può avvenire proprio in questo spazio temporale, perché “la giustizia è sempre un processo di riparazione e di riconciliazione”. Non di rado con se stessi e il proprio passato. La cosa più difficile spesso è perdonare se stessi.

Ecco il Natale buono: quello che ci consegna l’umanità vera, quella che Dio ha fatta propria per salvarla e riconsegnarcela nuovamente. Pensando a questo incontro mi sono reso conto che il titolo della Lettera pastorale che ho consegnato alla diocesi calza benissimo anche con la vostra condizione: Ri-cominciare “perché nulla vada perduto”. Nulla di noi e del nostro passato può e deve andare perduto. E tantomeno nessuno. Tutto e tutti siano salvati, l’ha sottolineato papa Leone.

 “È nato per voi un salvatore”: è quel bambino che ci viene incontro con le braccia allargate, allo stesso modo di quando conclude la sua esistenza con le stesse braccia allargate sulla croce. Tra quelle braccia, fin dalla stalla di Betlemme, troviamo l’Amore di chi ci cerca senza stancarsi.

Buon Natale. È Buono per tutti. Senza esclusione.