Masci

Stasera stiamo dando vita a quella che Papa Francesco chiama: “Convivialità delle differenze”, attraverso un gesto: il silenzio. Un silenzio che ha attraversato tre piazze della città (S. Antonino, Cavalli,  Duomo). Il nostro non è un silenzio omertoso né rinunciatario. Non è un silenzio di resa. E’ un silenzio che vuole provocare, che vuole essere eloquente: corrisponde a quello di chi non ha voce e fiato per gridare il proprio dolore. Il silenzio che il dolore straziante impone come estrema forma di difesa. Il silenzio che è un linguaggio universale e che per questo può essere compreso.

Ma il silenzio è anche spazio nel quale sgorga la preghiera, che ora vogliamo esca dalle nostre labbra per dare voce a chi, dopo aver consumato le lacrime, ha inaridito la propria lingua e che non è più capace di alzare la voce verso Dio.

È difficile stilare la classifica di chi è più immerso nei drammi delle guerre e delle persecuzioni. Stasera vogliamo innalzare la preghiera nelle lingue e nelle fedi differenti per far uscire dai buchi neri dell’oblio chiunque è minato nella fiducia e nella speranza dalla guerra e dall’ingiusta violenza.

Prima, però, vorrei ricordare quello che è avvenuto quest’oggi a Verona, protagonisti papa Francesco, un giovane Israeliano e un giovane Palestinese.

Papa Francesco, mi chiamo Maoz Inon, vengo da Israele e i miei genitori sono stati uccisi da Hamas. Papa Francesco, mi chiamo Aziz Sarah, vengo dalla Palestina e questa guerra e i soldati israeliani mi hanno tolto mio fratello. Il nostro dolore, la nostra sofferenza ci hanno avvicinati, ci hanno portati a dialogare per creare un futuro migliore. Noi siamo imprenditori e crediamo che la pace sia l’impresa più grande da realizzare. Siamo qui con Roberto Romano che condivide le nostre idee. Non ci può essere pace senza un’economia di pace. Un’economia che non uccide, che non produce guerra, un’economia, invece, basata sulla giustizia; e chiediamo: come possono i giovani essere imprenditori di pace quando i luoghi di formazione spesso sono influenzati da paradigmi tecnocratici e dalla cultura del profitto ad ogni costo?

Credo che davanti alla sofferenza di questi due fratelli, che è la sofferenza di due popoli, non si può dire nulla…, non si può dire nulla. Essi hanno avuto il coraggio di abbracciarsi. E questo non è solo coraggio e testimonianza di volere la pace, ma è anche un progetto di futuro. Abbracciarsi. Ambedue hanno perso i familiari, la famiglia si è rotta per questa guerra. A che serve la guerra? Per favore, facciamo un piccolo momento di silenzio, perché non si può parlare troppo di questo, ma “sentire”. E guardando l’abbraccio di questi due ognuno dal proprio cuore preghi il Signore per la pace, e prenda una decisione interiore di fare qualcosa perché finiscano le guerre. In silenzio, un attimo… (Papa Francesco).

Allora prima di innalzare al Signore Dio la nostra preghiera, scambiamoci un abbraccio con il fratello e la sorella che abbiamo accanto, senza aggiungere parole e lasciamo parlare l’abbraccio che combatte l’indifferenza mediante l’incontro.