Lc 3,1-6
C’è una sottile ironia nel presentarsi di Dio nella storia. Abbiamo ascoltato, infatti, un’apertura solenne che sembra voler mettere in fila i potenti che regnano sulla terra. Dall’orizzonte più grande e quindi dal potere riconosciuto universalmente (l’Imperatore romano), al suo rappresentante nel territorio della Giudea (il governatore), per giungere al potere religioso rappresentato dai Sommi sacerdoti, passando per gli amministratori del territorio (i tetrarchi). In realtà questa è solo la cornice della scena concentrata in un punto minuscolo e insignificante. Nel deserto, uno spazio inospitale. Tutto converge in una figura sconosciuta perché senza alcun potere. Questo punto ha un nome: Giovanni, figlio di Zaccaria. A marcare ulteriormente questo spazio impreciso ci è detto che “percorse tutta la regione del Giordano”. Chi è andato in Terra santa trova vari siti indicati come luoghi della presenza del Battista.
In questo punto, infinitamente piccolo e fuori dai circuiti del potere, “la parola di Dio venne…”. Venne allo stesso modo in cui qualche tempo prima era venuta in un sobborgo di Gerusalemme, a Betlemme.
La Parola di Dio viene in un punto marginale della terra e della storia, lontana dal Tempio. E viene come il compimento di una profezia. Giovanni si scopre raggiunto dalle parole di Isaia. Perché così accade: la ricerca della nostra identità (chi sono? Cosa sono chiamato ad essere o a fare?) trova risposta in una Parola pronunciata dal Signore, scritta e proclamata. C’è una Parola di Dio che attende di compiersi in noi.
Proviamo a pensarci così: una pagina, un versetto della Scrittura darà senso e valore alla mia persona e alla mia esistenza. È il segno che il Signore-Dio mi ha pensato come un dono prezioso e necessario dentro la storia della salvezza. Un dono pre-annunciato. E questo in riferimento a Gesù.
Se domenica scorsa la presenza del Signore ci ha raggiunto nelle nostre paure e angosce per il domani incerto, oggi ci è detto che Egli ci raggiunge attraverso una Parola in uno spazio di ordinaria marginalità. Nel deserto. Cioè laddove non si sta volentieri.
La profezia di Isaia dice di Giovanni che egli è “Voce”, voce di uno che grida nel deserto. Il deserto è luogo di solitudine, inospitale, è soprattutto luogo di silenzio. Le parole giuste, quelle che raggiungono il cuore squarciando l’aria e gli spazi… nascono dal silenzio e nel silenzio. Va ricordato che anche il padre (Zaccaria), all’annuncio dell’angelo della nascita di Giovanni, entra in un silenzio che termina solo alla nascita del figlio. Potremmo dire che Zaccaria rimane senza parole. Ammutolito. Anche lui riprende la parola di fronte al figlio che viene alla luce: la sua prima parola (maturata nel silenzio di quei nove mesi di attesa) sarà una benedizione a Dio perché il figlio è “dono di Dio” (è il significato del nome Giovanni). Dà voce alla parola ricevuta dall’angelo.
Per purificare le parole c’è bisogno di silenzio, di ascolto. Dovremmo chiederci da dove nascono le nostre parole: dal silenzio o dalle parole?
Per essere voce della Parola c’è bisogno che essa sia capace di generare nell’ascolto. E Giovanni in questi versetti ci appare carico di speranza.
Nella parola profetica c’è prima di tutto un annuncio: Il Signore viene e “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”. Ogni uomo (il termine greco usato -σαρξ- è l’uomo nella sua debolezza costitutiva, nella sua fragilità), a contatto con la sua realtà vera, non con la sua presunzione, lo incontrerà. E quindi vedrà la salvezza che si dà in modo gratuito.
Non solo. Ma i sentieri tortuosi e le vie impervie, i burroni, i monti e i colli saranno raddrizzati, colmati, abbassati. L’opera non è quella dell’uomo, perché l’opera la troviamo fatta. Da chi? Non è detto. Dal Signore stesso (tanto desidera incontrarci)? Dalla comunità che favorisce l’incontro con il Signore? Da noi stessi, riconoscendo che noi siamo i primi a complicare le cose al Signore?
Quella di Giovanni è una voce amica, che, seppur nel deserto, ama la compagnia degli uomini. Che vuole che tutti, senza esclusione, possano approdare all’incontro con Colui che ci raggiunge con una Parola pensata e pronunciata per ciascuno da sempre.
Giovanni dà voce alla speranza, perché è testimone che la Parola viene e venendo è capace di superare tutti gli ostacoli che nella debolezza frapponiamo all’iniziativa del Signore che viene.