Pecorara –

Os 14,2-10

Mc 12,28b-34

Quando ci siamo visti per la prima volta, poco dopo il mio arrivo a Piacenza, Gigi mi ha parlato di Pecorara. E mi voleva portare. Mi sembrava che la distanza che la separava da Piacenza fosse un fatto irrilevante: era lì presente, in lui, nei suoi ricordi, nei legami che rimanevano molto vivi e forti. Neanche il tempo aveva scalfito il legame profondo con questo suo paese. Posso immaginare che il lavoro di ufficiale di Stato Civile, la presenza nella Proloco e nel Pecorara Calcio avessero tessuto rapporti di conoscenza, di stima e di familiarità veramente con tutti. Pecorara era la sua famiglia di origine.

E alla fine, in un modo diverso da come l’avevamo immaginato, Gigi mi ha fatto venire nella sua Pecorara. Vogliamo che sia la Parola di Dio, che la liturgia odierna ci ha proposto, ad illuminare il nostro congedo cristiano a Gigi.

Nella domanda rivolta a Gesù: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?” non c’è tanto una richiesta legalistica (che cosa devo assolutamente osservare?) quanto il voler capire dove si possa fondare sicuro il cammino di una persona. Che cosa può orientare l’uomo e il suo agire? Quando il cuore dell’uomo corrisponde al cuore di Dio? Gesù risponde con quell’inizio che è un invito: “Ascolta, Israele”. L’ascolto è condizione di tutto il resto.

Nella raccomandazione/comando di Gesù mi sembrava di vedere Gigi che, nelle nostre cene o incontri, partecipava prima di tutto con il silenzio. Era un silenzio espressione dello spazio di accoglienza/ascolto riservato all’altro. E si capiva che il suo intervenire, puntuale e preciso, era al momento giusto, appunto dopo aver ascoltato. Dovremmo imparare il primato dell’ascolto e la sua qualità (che è diverso dall’udire). È l’ascolto che permette di accogliere chi ci sta davanti.

Il Signore nostro Dio è l’unico”. In questo secondo passaggio, c’è la pretesa del Signore di non avere rivali in amore, in affidamento. Per questo il Signore chiede tutto (cuore, anima, mente, forze). Se è l’unico, allora tutta la nostra persona si unifica: la fede non lascia fuori scampoli di vita, brandelli di scelte, fette delle nostre giornate.

La stima che in questi giorni si è manifestata verso Gigi con la partecipazione alla veglia e al rosario (e anche qui alle sue esequie) sono la conferma dell’integrità riconosciuta alla sua persona. Un uomo che ha cercato l’integrità, tralasciando tutto quello che sa di doppiezza, di poca sincerità e di non autenticità.

Amerai il tuo prossimo come te stesso”. L’ultimo tassello di questo cuore conforme al cuore di Dio è di dare peso al prossimo come lo si dà a sé stessi. Considerare il tempo, le energie, l’intelligenza messe a servizio del prossimo non come qualcosa di sottratto a sé, ma come cura di sé, mediante la cura dell’altro. Cura che passa anche attraverso la serietà nel proprio lavoro, nel modo in cui si fa ciò che è dovuto. Così come il lavoro, la professione diventa servizio.

Posso immaginare che Gigi, anche nell’amore verso il prossimo, sia stato della stessa discrezione con la quale si poneva nella vita. Per quel che ho potuto constatare il suo modo di essere era quello di una persona misurata, sobria, capace di suscitare subito fiducia.

Come a volte si dice, Gigi si è congedato allo stesso modo nel quale ha vissuto: in punta di piedi. Qualche giorno fa, quando sono stato a trovarlo in clinica era preoccupato per me: “Con tutto quello che hai da fare”. Me l’ha ripetuto, quasi a scusarsi di sottrarmi del tempo. Preoccupato di congedarmi per non pesare ulteriormente sugli impegni della mia giornata.

La pagina del profeta Osea (ascoltata nella prima lettura) mette in bocca a Gigi e a noi, con lui e per lui, le parole della fede nell’incontro che si sta compiendo con il Padre: “Togli ogni iniquità, accetta ciò che è bene”. Ognuno, infatti, si presenta all’incontro con il Dio della vita con le proprie debolezze unite al bagaglio di bene vissuto e cercato. E nella fede giungiamo con l’invocazione che nasce dalla fiducia nella Sua misericordia. 

Ventotto anni ormai di matrimonio si sono conclusi con un distacco anticipato. È doloroso, Marina, non poter accompagnare come si vorrebbe chi ti sta lasciando. Ma l’amore, già in queste settimane, si è manifestato più grande della distanza fisica. E questo è motivo di speranza anche per il domani: l’amore vince la morte.

Uniti a Marina, alla sorella, al cognato e alla cognata e ai nipoti e a tutti i familiari nella invocazione che è raccomandazione che Dio si manifesti come Padre, siamo qui per esprimere loro tutto il nostro bene e la vicinanza affettuosa. E allo stesso tempo al Padre della misericordia desideriamo testimoniare il bene che abbiamo ricevuto attraverso di lui e la sua esistenza, narrando riconoscenti l’amore discreto che ci ha raggiunti.