Gal 2,19-20
Gv 15,1-8

In una settimana ci ritroviamo per la terza volta attorno alla salma di un nostro fratello sacerdote. È meglio dire, ci ritroviamo attorno ad una vicenda umana, spirituale e presbiterale che si conclude davanti a noi. Non possiamo negare il turbamento, in particolare per questa morte che ci ha presi tutti di sorpresa. Primo fra tutti lo stesso don Roberto. Ma la celebrazione delle esequie è celebrazione pasquale. Conferma di quanto s. Paolo ci ha appena ricordato nella pericope della lettera ai Galati: “non io vivo, ma Cristo vive in me”. Lui che ci ha unito nella sua morte, ci ha introdotti da sempre nella sua Risurrezione. La nostra esistenza fa un tutt’uno con la Sua.

Con le parole del salmo 33 anche noi ci uniamo a don Roberto: “Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni paura mi ha liberato”. È la preghiera della creatura riscattata dalla Pasqua di Gesù.

Poche ore prima della sua morte improvvisa, d. Roberto aveva celebrato con molti di noi il mistero della morte-risurrezione di Gesù in don Giuseppe Bertuzzi, di cui era stato amico oltre che confratello nel presbiterato. C’è una foto che li vede uno accanto all’altro, seduti in una panchina, quasi a rappresentare l’attesa del Signore che sarebbe passato, quasi in contemporanea, per introdurli nel suo Regno.

Personalmente ringrazio il Signore per la Visita pastorale, durante la quale ho avuto l’opportunità di condividere solo con lui un pranzo e una cena. Due momenti di fraternità e di confidenza, con una spontaneità che mi aveva sorpreso. Posso testimoniare i due registri della sua umanità: la riservatezza, quasi severità per un verso, che si trasformava in cordialità e apertura, quando si creava uno spazio di familiarità. Un profilo sempre discreto, ma aperto alla condivisone. In questi giorni mi è venuto spontaneo pensare a don Roberto come alla perla che per scoprirla chiede l’abilità di aprire l’ostrica, ma non con la forza, bensì con la delicatezza della fiducia. Era questo il contesto nel quale si lasciava incontrare.

La sua fede, radicata in Gesù, è ben interpretata dalla pagina evangelica della vite e i tralci. Il verbo rimanere dice la profondità dei legami che hanno segnato la sua esistenza sacerdotale. Legame con Gesù e la sua Parola, legame con la Chiesa che ha sempre amato e servito fedelmente, legame con quanti, bisognosi, incontrava e per i quali si viveva come fratello. Il suo cuore e i suoi affetti riverberavano più di quello che si percepiva all’esterno, che lui riusciva ad esternare. Nel suo raccontarsi manteneva una memoria grata per il suo ministero, per i vari e diversificati incarichi che aveva ricoperto. Era felice del suo sacerdozio.

Da parte mia la sua morte improvvisa ha suscitato il rammarico per occasioni mancate di incontro e di condivisione che in questi anni non mi è stato possibile coltivare. Sono convinto che ne sarebbe valsa la pena.

L’immagine della vite e dei tralci ci consegna l’ultima fase, quella del raccolto dei frutti della vite, che compete all’agricoltore. Oggi a noi è affidato il dovere e la gioia di raccogliere i frutti dell’opera di Gesù maturati nella vita credente e nella passione pastorale di don Roberto. E siamo certi che ciò che grazie a lui è stato prodotto per la nostra Chiesa e per il Vangelo verrà raccolto e custodito dal Signore. Perché nulla andrà perduto e sarà strappato dalle Sue mani.

Cotrebbia – 23.07.24