Borgo Val di Taro

1Tm 3,14-16

Lc 7,31-35

Una morte così improvvisa non solo ci ha lasciati sorpresi e senza parole, ma ci lascia nella sensazione di qualcosa di incompiuto. E’ mancato il congedo, il saluto, la parola e le parole che fanno parte di una relazione. Per cui siamo invitati a viverlo qui, in questa celebrazione, certi che il congedo cristiano è fatto prima di tutto di gratitudine. Questa celebrazione è un grande rendimento di grazie al Signore e a don Primo per la sua lunga ed instancabile dedizione: “Renderò grazie al Signore con tutto il cuore, tra gli uomini retti riuniti in assemblea”. Siamo certi che sono le parole che troveremo anche sulle sue labbra e nel suo cuore.

S. Paolo, in questa pericope della prima lettera a Timoteo, pone l’accento sul cuore del mistero cristiano: Gesù, descritto non estrema sintesi, a grandi pennellate. Il mistero di Dio che ha attraversato il tempo, per aprire l’umanità all’eternità dei cieli. Don Primo è stato sempre preoccupato che il vangelo di Gesù fosse annunciato e accolto. Fin dal nostro primo incontro ha manifestato la sua preoccupazione circa l’efficacia della trasmissione della fede. Ho capito che ciò che animava la sua azione pastorale era l’annuncio capace di raggiungere le persone (dai più piccoli ai più grandi). Nelle loro condizioni, che dovevano essere ben presenti perché il vangelo non fosse vano. Grazie per averci testimoniato questo amore.

Nel vangelo troviamo il giudizio molto severo di Gesù sulla generazione con cui ha a che fare: avanza sempre qualche alibi di fronte alla proposta del vangelo. E’ da sempre così: c’è sempre un motivo, una ragione per non lasciarci prendere, coinvolgere seriamente. Credo che la morte del proprio pastore possa essere un’occasione favorevole per fare verità: quali opportunità che la sua presenza mi ha offerto ho colto e quali invece ho lasciato cadere? Non si tratta tanto dall’averlo rattristato o compiaciuto, quanto nell’averlo riconosciuto quale strumento attraverso il quale il Signore mi ha voluto raggiungere con una Parola di salvezza. In questo congedo c’è lo spazio per una richiesta di perdono, per le opportunità che abbiamo lasciato cadere. Per non averlo vissuto come uno strumento della grazia di Dio.

Quando mi è stato comunicato come don Primo è morto mi è stato detto: “è passato nel sonno”. E’ bella questa immagine che appartiene al nostro linguaggio: la morte come un passaggio da un riposo ad un altro. Il cristiano, che vive avvolto nel mistero pasquale fin dall’inizio (cioè dal battesimo), vive così la sua morte. C’è una mano che ci fa attraversare la morte come un sonno dal quale siamo risvegliati. E’ così che immaginiamo don Primo: risvegliato dalla mano del Signore per essere introdotto nella vita, nell’Amore in cui ha creduto, che ha annunciato, che ha servito come pastore. Se siamo esseri pasquali lo si vede sia nel nostro modo di vivere nella speranza, che nel nostro modo di guardare alla morte e di attraversarla.

Don Primo ha celebrato la gloria della croce domenica scorsa: l’ha celebrata stando sotto alla croce di Gesù e ha ritrovato accanto a sé, come discepolo che Gesù ama, Maria a cui è stato consegnato. Maria, la donna della speranza, che ha confidato nel Dio che l’aveva chiamata a partecipare del suo disegno di salvezza, lo accolga ora e lo introduca all’incontro con il Figlio. Maria, porta del cielo, prega per lui.