Farini

1Pt 1,18-25

Mc 10,32-45

L’erba inaridisce, i fiori cadono, ma la parola del Signore rimane in eterno”. Così S. Pietro descrive la nostra esistenza con realismo, quello che abbiamo constatato in questi mesi in don Luciano: essa è soggetta al decadimento, a volte veloce, ma ciò che rimane è l’annuncio della risurrezione di Gesù. Qui si radica la nostra speranza, in questo sguardo posato sul Dio della vita, che non ha lasciato il suo Figlio negli inferi. Lo sguardo che non è mai venuto meno a don Luciano, neanche in queste settimane di malattia. Leggo la Visita pastorale che si è svolta in queste due settimane come la sua ultima azione pastorale. Ho voluto che mi benedicesse la mattina del mercoledì quando sono arrivato a Farini e l’ho benedetto a mia volta. La sua benedizione ci ha accompagnato e la sua presenza è stata costante nelle nostre preghiere. Ha compiuto, ha consumato in questo modo l’ultimo atto della sua donazione alle vostre comunità, che ha servito, diremmo noi, in modo fin esagerato. Senza risparmiarsi. Incurante dei miei ripetuti richiami a ridurre il numero delle messe celebrate che chiedevano un andare senza sosta. La pagina evangelica della liturgia odierna ci offre la chiave di lettura della sua esistenza sacerdotale: ”tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. Parole che possiamo accogliere solo perché chi le pronuncia è il primo a viverle: Egli è venuto a dare la propria vita. Si è fatto servo di tutti.  Don Luciano è stato associato fino alla fine al mistero della morte di Gesù, come offerta di sé per voi. In questo ha cercato – senza esibizioni- di primeggiare.

C’è un’immagine che raccolgo dalla prima lettura, quando Pietro parla della gloria del fiore del campo. Mi sembra che associare don Luciano al fiore del campo sintetizzi in maniera efficace la sua persona: dice la bellezza semplice, la gratuità della sua esistenza, la sua presenza marginale che non si impone. E’ proprio la bellezza discreta della sua vita ciò che lo ha caratterizzato. Una bellezza passata al vaglio di una vita tutt’altro che generosa possiamo ben dire: la necessità di partire dal Polesine, la morte di mamma e papà quando lui, ancora adolescente, deve provvedere alle sorelle. E in tutto questo il dover abbandonare il desiderio di diventare prete. Solo in età adulta vedrà realizzarsi quella chiamata al sacerdozio che aveva riconosciuto ancora ragazzo. All’immagine del fiore del campo vorrei unire un’altra immagine, quella foto che mi ha mostrato la prima volta che ci siamo incontrati dove è ricoperto di fango nell’esondazione del Nure nell’alluvione del 2015. Il dramma della vallata non lo ha risparmiato, gli si è incollato addosso con quel fango. Mi aveva colpito che in quella scena apocalittica lui indossava il clergyman: in quella condizione lui ci stava come il sacerdote/parroco che ha condiviso la desolazione di quei giorni, sullo stesso fango che copriva ogni cosa. Anche la fiducia.

Credo che il regalo più bello che gli è stato riservato è di essere morto tra voi. In canonica. Avvolto dal grande abbraccio del vostro affetto e della vostra vicinanza.

Un grazie a voi tutti, in particolare alla sorella Alida che non ha voluto lasciarlo un momento; alla dottoressa Vercesi, alle tante persone che non hanno fatto mancare il sostegno in modi diversi. Un grazie sincero a Don Stefano e a don Claudio, il vicario foraneo, e ai sacerdoti che sono venuti a visitarlo e lo hanno ricordato.

Il Signore lo farà sedere a tavola, passando a servirlo, avendolo riconosciuto Suo servo fedele.