Romagnese – 06.11.24
Fil 2,12-18 Lc 14,25-33
Siamo raccolti attorno a don Cesare in quella che è stata più della sua chiesa per 56 anni: è stata la sua casa. Confesso che con don Cesare, nella recente Visita pastorale, ero stato severo perché non si arrendeva di fronte all’età e alla salute: non c’era motivo che lo convincesse a ridurre il carico di lavoro. Aveva il (momentaneo) sopravvento solo il ricovero ospedaliero. Don Cesare si è identificato con il suo ministero, al punto da non riuscire a pensarsi fuori di quello che aveva sempre fatto. E’ veramente morto sulla breccia. A conferma Gesù, nel brano evangelico che la liturgia, oggi, ci propone, mostra l’orizzonte nel quale don Cesare si è compreso: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. Nel servizio a Gesù e al vangelo don Cesare ha messo tutto se stesso, la sua stessa vita.
Lo sappiamo che alcune cose che, con testardaggine, ha continuato a fare sono discutibili, ma sicuramente non ha calcolato le energie da dare. Non si è risparmiato, con un entusiasmo e una passione pastorale invidiabili.
Di fronte alla domanda retorica con la quale Gesù introduce la prima parabola: “Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine?” potremmo rispondere: don Cesare. E’ stato generoso e, forse, improvvido fino alla fine. Nell’eventuale calcolo non entrava la sua salute. Credo che possa anche lui dire con S. Paolo: “Nel giorno di Cristo io potrò vantarmi di non aver corso invano, né invano aver faticato”.
Giunto alla sua veneranda età e al termine di un tempo così prolungato di servizio in questa parrocchia, don Cesare è testimone che qui egli ha abitato nella testimonianza di Colui che l’aveva chiamato e inviato.
Il Signore ha continuato a voltarsi indietro e a rinnovare il suo invito ad andare da Lui e don Cesare oggi può presentarsi nel giorno di Cristo glorioso portando con sé voi che avete apprezzato le qualità: voi siete il motivo della speranza di non aver faticato invano. Le generazioni che si sono succedute in tutti questi anni possono testimoniare la tenacia e la fedeltà del servo posto a capo della sua famiglia.
Lo vogliamo consegnare a quella misericordia che ha tante volte annunciato e al cui servizio si è posto, con la certezza che ogni nostra povertà e miseria sono in essa purificati.




