Farini – 15.10.24
Gal 5,1-6 Lc 11,37-41
Questa celebrazione eucaristica è un atto di fede e di amore: verso don Alfredo che consegniamo all’incontro con il Signore della vita perché Signore della misericordia. La misericordia è la possibilità nelle sue mani di dare futuro alle nostre esistenze. Qui e nella nostra morte. E’ il nome del suo amore invincibile. Lo facciamo come Chiesa, come presbiterio di cui è stato partecipe.
Ed è giusto ricordare che la sua esistenza si conclude in quella che è stata la sua terra di origine: qui è stato introdotto nel mistero dell’amore di Dio di cui è stato ministro. Il nostro presbiterio è composito: ogni sacerdote, con le caratteristiche personali, con la sua storia, tratteggia il profilo di quanti svolgono un servizio pastorale. La cura pastorale porta i segni della fede di comunità da cui si proviene. Certamente la vicenda di d. Alfredo è stata travagliata, basti solo pensare che da vent’anni si era ritirato al Cerati per motivi di salute. Vogliamo pensare che anche in quella comunità, così meritevole per la carità che esprime, abbia continuato ad accompagnare il servizio del vangelo della nostra Chiesa. Non si è prete per quello che si fa, per le prestazioni che si possono assicurare, ma per la fede che ognuno vive, per la preghiera che si continua ad offrire.
In uno degli ultimi incontri che ho avuto con lui, insieme a d. Giuseppe Basini, si era illuminato quando gli sono state ricordate le comunità a lui familiari. Una memoria rasserenante in una stagione della vita provata, che dice quanto lui si sentisse debitore di quella vita ricevuta. Noi crediamo che nella vita le prove sono una delle forme attraverso le quali il Signore ci purifica, nel nostro profondo.
Quel rimprovero rivolto da Gesù a colui che, avendolo invitato, si meraviglia perché non aveva fatto le abluzioni di rito, sa proprio di un invito a saperci spogliare di tutto per essere purificati, per essere in grado, come dice Gesù nelle beatitudini, di avere un cuore puro che vede Dio (“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”, Mt 5,8). Era il cuore del fariseo a non essere puro. Sorprende che Gesù si mette a tavola non perché chi l’ha invitato è giusto, al contrario, per renderlo giusto mediante quella parola che salva perché svela l’ambiguità presente nel cuore.
E’ straordinario che l’invito al banchetto della vita che ci attende possa essere quell’invito che fino alla fine, tenacemente, Gesù ci rivolge perché desidera operare una salvezza.
Allora possiamo ripetere con il salmo:
“Venga a me, Signore, il tuo amore,
la tua salvezza secondo la tua promessa” (Sal 119,41).
Oggi è sulle labbra anche di don Alfredo che invoca la promessa di Dio, in forza della quale ha offerto la sua vita, le sue energie e le sue fragilità fino alla fine.




