Cattedrale – 02 APRILE 2023
Is 50,4-7
Fil 2,6-11
Mt 26,14 – 27,66
Abbiamo appena ascoltato la lettura della Passione di Gesù (il “Passio”). La prima reazione è relativa alla sua lunghezza. Al punto che essa è diventata proverbiale: “Sei lungo come il Passio”. Espressione che usiamo per qualcosa che sembra non finire. Per indicare una cosa difficile da sopportare. Per tutto ciò che porta con sé una distrazione: penso ad altro, mi rifugio in qualcosa di più piacevole.
È esattamente ciò che ci capita quando ci raggiunge una sofferenza: la durata del tempo nel quale siamo immersi in essa sembra effettivamente assorbire tutte le forze. Al punto da dire: “non ce la faccio più”. Lo stesso quando a patire è qualche persona a noi vicina, a noi cara. Anche la sofferenza condivisa è logorante. Il racconto evangelico testimonia anche questo, quando fotografa sotto la croce di Gesù la Madre e il Discepolo che Gesù amava. Pochi rimangono, gli altri se ne sono andati.
Proviamo a pensare che proprio così ha vissuto Gesù quelle ore nelle quali si è trovato nelle mani della stessa folla che solo qualche giorno prima aveva osannato la sua persona. Vittima di una violenza che si concentrava su di Lui come fosse il più grande delinquente. Senza nessun diritto di difesa, come capita ancora oggi per tante persone nel mondo. Un processo sommario con accuse false. Il racconto della passione di Gesù ci viene proposto per ben due volte in questa settimana santa. Ad invitarci a stare dentro a quel dolore per comprendere la grandezza del suo Amore, ed insieme per sentire il peso di quella violenza che continua ancora a concentrarsi su tanti ‘poveri cristi’.
Non c’è poesia nella Pasqua. C’è tanto dramma. Perché alla violenza fisica si unisce quella psicologica. Basti pensare alla solitudine procurata a Gesù anche dai suoi, da quelli che lo avevano seguito fin dalla Galilea. Proviamo a pensare alla derisione che era stata anticipata dal Salmo: “Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!”. E che nel Vangelo ci è descritta in quel ripetuto: “se tu sei il Cristo…”. Deriso su un punto centrale della sua persona: si era dichiarato Figlio di Dio. E Dio gli aveva rivelato il suo amore di predilezione. Possiamo ben immaginare che in Gesù si sia fatta strada la domanda: Padre, dove sei? Perché tanto odio e violenza? E al dramma di Gesù si unisce il nostro perché ci è chiesto di starci in questa Passione, anche se la tentazione è di tirarsi fuori. Di fare da semplici spettatori.
“Divenendo simile agli uomini”, S. Paolo lo riferisce in particolare a questi giorni di passione. Questo divenire è il frutto di un movimento di spogliazione, di abbassamento, di obbedienza. È senz’altro la parte più faticosa dell’incarnazione, del farsi uno di noi. La parte più dolorosa è spogliarsi di ogni privilegio, che gli veniva dall’essere Dio. Cioè si spoglia dal poter difendersi, dal poter imporre la verità con la forza… Invece accetta di essere come ogni uomo, che non ha chi e che cosa lo possa difendere, proteggere, custodire. Gesù ci rivela chiaramente che Dio non interviene con superpoteri. Non è un super eroe. Confida unicamente nella forza che il Padre ha: di non lasciarlo in potere della morte.
Oggi entriamo nella settimana di Passione con i rami di ulivo, con le palme. Con canti osannanti: “Colui che viene nel nome del Signore”. Consapevoli che questi rami rappresentano la gioia e la pace che Gesù suscita in noi. Nell’olivo, nelle palme noi ritroviamo un segno di quella pace che è attesa. Ed è necessario ricordare che il saluto del Risorto è proprio: “Pace a voi!”. Una specie di risposta al gesto di questa mattina. Gesù, il Risorto, porta la pace e la consegna come frutto della sua Pasqua. Ma la strada per arrivare alla pace è diversa da quella che immagineremmo. Egli è Colui che è venuto ad abbattere il muro di separazione che c’era tra mezzo, tra il popolo d’Israele e i pagani. Ma in fondo per eliminare ogni muro che si continua ad innalzare. Da quelli di casa nostra, delle nostre comunità e del nostro presbiterio. Tra comunità. Tra avversari che sono trasformati sempre di più in nemici. E il nemico alimenta l’aggressività. L’aggressività e il cinismo.
Il ramo di ulivo che abbiamo alzato al cielo e che conserveremo a casa esprima prima di tutto la gioia del nostro camminare dietro a Gesù e il nostro reale impegno a lasciarci riconciliare da Lui, a lasciarci convertire a Lui, che continua ad abbattere ogni forma di prevaricazione di chi vorrebbe giungere alla pace con la vittoria di qualcuno e con la sconfitta degli altri. La strada è e rimane quella intrapresa in questa settimana di Passione. Che è la settimana dell’Amore appassionato. Anche per i nemici. O per quelli che riteniamo tali.