Is 56,1.6-7 Ef 2,19-22 Lc 19,1-10

La Liturgia dà un alto valore alla Dedicazione della Cattedrale, ricorrenza per la quale siamo stati convocati qui stasera. A ricordare che la Cattedrale è il riferimento simbolico della Chiesa locale: da essa infatti si irradia la presenza della Chiesa nelle varie comunità della diocesi. Qui c’è una “maternità” spirituale: è la Chiesa-madre.

Quando mons. Monari pensò alla Casa della Carità, intese richiamare il legame, l’intreccio che esiste tra il ritrovarsi nel culto, la carità, l’attenzione ai poveri e l’annuncio della Parola. La scelta di trovare per essa spazio in Vescovado, residenza del Vescovo, all’ombra della Cattedrale realizzò l’unità dei cardini della vita cristiana.

Circa un anno fa si è conclusa la presenza della Casa della Carità; ma si è pensato di non perdere questa storia, cercando di porre un nuovo segno dell’attenzione verso chi è in condizione di povertà, di precarietà… Far coincidere l’inaugurazione del ‘Il Mandorlo’, questa casa per mamme e bambini, con la Dedicazione della Cattedrale, ci aiuta a tenere insieme i poli vitali della vita ecclesiale, in una circolarità necessaria. Direi che una sostiene l’altra: sia per non ridurre la celebrazione ad un rito che si esaurisce in se stesso, sia per non limitare ad assistenzialismo organizzato la risposta alle domande di aiuto, ancorando ogni piccolo gesto alla Carità che è il nome di Dio.

La Liturgia della Parola ascoltata ci illumina, consegnandoci il tema della “casa”. Essa dice del tempio non di meno che dell’abitazione nella quale si vive. Non solo si abita.

–    “La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56,7). La preghiera ha bisogno di una casa, che riunisce, che attira e raccoglie l’invocazione di tutti, senza esclusione. Cerca un luogo dove abitare. Dare casa alla preghiera, oggi per lo più intesa come una cosa ‘intima’, cioè ‘privata’, ricorda a tutti che ogni preghiera per il cristiano è immersione in una comunione con Dio e con i fratelli, che per questo ha la necessità di trovare una casa comune. Nello stesso tempo questo luogo ci dice che non c’è preghiera che non mi/ci appartenga, a condizione che l’altro entri nella mia casa con Gesù: lo vediamo in Zaccheo che accoglie con Gesù anche il grido di chi ha derubato, frodato.

Anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio” (Ef 2,22). 

–    La fede che edifica comunità, trasforma l’uomo in abitazione, in dimora della presenza di Dio. Ogni tempio, come questa Cattedrale, ricorda che siamo noi il luogo nel quale Dio assicura la presenza, pur in condizioni povere. Conoscendo le nostre personali e comunitarie fragilità siamo portati a pensare impossibile la scelta di Dio di farci suoi strumenti.  In realtà è proprio così che Dio ha scelto di abitare il mondo, a partire dall’umanità di Gesù: la tenda che Dio ha posto tra gli uomini in una umanità come la nostra. Allora anche la fraternità, dove abita la paternità di Dio, ha bisogno di casa per alimentarsi. Qualsiasi tipo di relazione non esiste nel linguaggio se non perché è vissuta nella carne, nell’umanità, che ha sempre l’esigenza di uno spazio dove essere vissuta. Nel momento in cui celebriamo l’Amore del Padre che si è rivelato in Gesù, noi veniamo consegnati come fratelli, gli uni agli altri.

–    “Oggi per questa casa (quella del pubblicano Zaccheo) è venuta la salvezza (...) Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,9-10).

La misericordia che salva, che ripristina anche l’umanità più compromessa come era quella di Zaccheo, ha una casa. Ha casa. La Cattedrale è luogo dove abita e ci attende la misericordia che si dà principalmente nel perdono. Ma ogni assemblea che si ritrova è sempre un’assemblea di peccatori. Ci riconosciamo tali all’inizio di ogni Eucaristia, non come confessione deprimente, quanto piuttosto come annuncio e testimonianza di un Amore più grande di ogni reale peccato. Il Signore continua instancabilmente a convocare nella sua misericordia un popolo di peccatori.

Un vescovo ha tratteggiato il profilo dell’uomo contemporaneo come quello di un “senzatetto spirituale”, che spesso si accontenta di un rifugio di fortuna, finché non trova casa. C’è bisogno allora di celebrare per tutti una casa che sia dimora della preghiera, di ogni invocazione del cuore, una dimora della fraternità, che ci è sempre consegnata e da vivere, una dimora della misericordia per dare casa-famiglia a tutti, senza esclusione. Per dare così speranza.