Solennità della Dedicazione della Cattedrale

Ez 47,1-2.8-9.12

1Cor 3,9c-11.16-17

Lc 19,1-10

E’ una felice coincidenza quella di iniziare la Visita pastorale nel vicariato urbano qui, in questa chiesa cattedrale, nella Solennità della sua Dedicazione, che è la chiesa-madre, segno di comunione attorno al Vescovo e al Signore. E’ importante questa coincidenza, perché ci richiama il fatto che ogni comunità è in comunione. E siamo chiamati a rinsaldare questa comunione. In realtà, ce lo siamo detti, la Visita è già iniziata con la fase della preparazione che avete messo in atto in questi mesi, in queste settimane e che ha permesso di porre lo sguardo sul cammino avviato. Perché, ce lo ripetiamo ancora una volta, la Visita pastorale non è una visita fiscale, non ci si deve vestire a festa per far bella figura, perché il valore di questo evento di grazia è di cogliere ciò che positivamente è stato avviato nelle nostre Comunità Pastorali e quello che insieme coglieremo come cammino ancora da percorrere. Siamo tutti invitati a rimanere alla scuola dello Spirito che ci permette di operare il discernimento sulla volontà del Signore che è sempre necessario. Allora ci ricollochiamo ancora una volta alla scuola di Gesù, alla scuola della sua Parola che la liturgia odierna ci propone, che ci aiuta a tenere davanti ai nostri occhi l’identità dell’essere chiesa e le esigenze della sua missione. Questa identità ci ricorda cosa siamo e cosa siamo invitati ad essere in questo tempo, in questo nostro oggi che ci interpella. Lasciamoci condurre da questa Parola nella quale ho colto tre immagini che ci vengono consegnate e dicono la nostra identità in divenire: il Tempio è la prima immagine, l’edificio in costruzione è la seconda immagine, la casa è la terza immagine.

Nella prima lettura ci è stata presentata questa visione del Tempio: è il segno della presenza di Dio in mezzo agli uomini, è il segno della sua fedeltà, un segno che ci precede, come questa cattedrale, e che verrà consegnato alle generazioni che verranno dopo di noi.  

Una fedeltà, quella di Dio, che non dipende da noi. Tanto più che per noi il Tempio è Gesù, morto e risorto. Questa fedeltà, proprio a partire da Gesù, non potrà più essere ritrattata, ce l’assicura Gesù. La comunità cristiana, quando è partecipe di questo segno, parla con la sua presenza di questa fedeltà. L’immagine del Tempio si arricchisce con questo torrente che esce dal Tempio e che, come ben sappiamo, con la forza tipica dell’acqua si fa strada, ma, in questo caso, non per distruggere quello che incontra, come abbiamo assistito di recente vicino a noi, bensì per far rifiorire, per purificare le acque inquinate e far rifiorire tutto ciò che è stato contaminato. Uno sguardo sul nostro essere comunità di Gesù Cristo che non può mai identificarsi come uno spazio chiuso, angusto, tantomeno settario: la destinazione della nostra presenza, che l’amore di Dio assicura, è il mondo, l’umanità, è il creato. E’ questo il compito che ci è affidato.

C’è una seconda immagine che raccogliamo dalla seconda lettura, quella dell’edificio.  Edificio non già costruito, ma da costruire, in opera. Per troppo tempo il nostro modo di pensarci chiesa, comunità cristiana, è stato quello di pensarci un edificio compiuto, o al massimo, bisognoso di qualche intervento di ordinaria manutenzione. S. Paolo ci ha detto che siamo edificio di Dio (“voi siete campo di Dio, edificio di Dio”), e che quello che è stato posto in maniera definitiva, e che non si può toccare, è il fondamento che è Gesù Cristo, il suo vangelo, la sua vita, il suo amore: su di esso ciascuno vi costruisce sopra la sua parte. Ma, S. Paolo ce lo ricorda, non possiamo  costruire su di un altro fondamento, dobbiamo guardarci bene dal sostituire questo unico fondamento: nessun altro criterio che non sia quello del Vangelo di Gesù Cristo, nessun protagonismo che distolga dal centro che è Gesù, perché così si distrugge, non si edifica. Perché, quando si costruisce su se stessi o su una qualche appartenenza che esclude, su tradizioni anche positive, alla fine si rischia di costruire su altre fondamenta. Perciò non meravigliamoci di quello che stiamo vivendo: è la nostra parte di costruzione che ci è affidata. Preoccupiamoci unicamente che ciò che oggi facciamo appoggi saldamente su Gesù.

Infine il vangelo ci consegna la terza immagine che parla di noi: la casa (“Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”). La comunità cristiana è una casa, più precisamente è “casa di Zaccheo”. Casa di un pubblicano e per questo sinonimo di peccatore. E’ casa visitata e abitata immeritatamente da Gesù. Per questo è la casa della conversione, da ogni forma di possesso, di ingiustizia, di avidità, di divisione, di prevaricazione. Ci è chiesto di essere e di diventare spazio di conversione, di restituzione, di messa al centro dei più deboli, dei più poveri. E’ la casa ospitale: ospitata da Gesù e ospitale per chi è vittima di un sistema emarginatorio, che tende a produrre povertà. In questa settimana, dopo questa celebrazione, dedicherò una giornata intera ai nostri fratelli e sorelle del carcere, per ricordarci che abbiamo l’obbligo di mettere le persone più deboli, più fragili al centro, davanti a qualunque altra nostra priorità. Vorrei che questa attenzione non fosse solo del vescovo, ma di tutti.

Questa terza immagine è particolarmente evocativa di uno stile che ci rende vivi. Nel nostro vocabolario, nelle nostre espressioni è molto presente il termine casa. Quando si dice che qualcuno ci è familiare diciamo che è “uno di casa”…, “qui è casa tua”…  , “far sentire a casa”… ma si può anche arrivare a dire che “questa casa è diventata un albergo” quando, ad esempio,  qualcuno dei figli cerca ‘casa’ altrove. Le nostre parrocchie, le nostre comunità pastorali sono ancora casa? Lo sono per tutti?  Senza condizioni stabilite da noi?

Il Signore ci aiuti anche attraverso questa visita a ricomprenderci, non a partire dalle nostre idee che possono essere anche belle ed interessanti, dai nostri progetti, ma a partire dalla sua Parola che continua ad affidarci la bellezza di un’azione profetica per questo nostro tempo. Aiuti noi perché chi ha bisogno di casa ci veda casa, e sia così per tutti, senza esclusione di alcuno.