Patrona delle Valli Taro e del Ceno
Ez 34,11-16
2Cor 1,3-7
Gv 19,25-27
Parlare di consolazione, non solo qui a Bedonia dove si venera la Vergine della Consolazione, evoca una condizione di sofferenza, di afflizione che produce la sensazione di isolamento. E insieme il bisogno di un intervento che rassereni. Consolare è far sentire vicinanza, è alleggerire il peso, ma soprattutto è rappacificare il cuore. Mi ha colpito, nella profezia di Ezechiele ascoltata nella prima lettura, una frase: “Io trasformerò i miei monti in strade e le mie vie saranno elevate”.
I monti indicano immediatamente un ostacolo, un impedimento ad andare spediti. Dio promette di trasformare ciò che è ostacolo, difficilmente superabile, in una strada. Sembra un paradosso poter camminare in quelle condizioni, non può essere per tutti. È solo di alcuni. Consolare allora non può essere ridotto ad una pacca sulla spalla, ad un minimizzare ciò che è vissuto come avversità…. ma piuttosto aiutare ad attraversare le difficoltà facendole diventare strada, che permette di raggiungere traguardi insperati e impensabili.
Perché non appaia una frase o una prospettiva incomprensibile guardiamo a Maria, proprio nel momento in cui sta vivendo la tribolazione più grande che possa vivere una madre, una donna e, non dimentichiamolo, una discepola. Qui il monte ha un nome preciso: il Calvario, il luogo della morte più umiliante e infamante. Sta perdendo il figlio, il maestro, ciò su cui ha investito tutta la sua vita di credente. Colui per il quale ha rischiato fin dall’inizio la sua credibilità di donna e di moglie. E sta assistendo alla sua morte in questo luogo dannato.
Guardiamo come Gesù la consola: di fronte all’evento che sembra sancire la fine della sua maternità, della sua fiducia in questo figlio/in questo Dio… Gesù le apre un futuro. Questa è la consolazione: affidarsi ad un futuro che è nella parola di Gesù: “Ecco tuo figlio… ecco tua madre”. Il monte (Calvario) diventa la strada di una nuova maternità, di un nuovo cammino di Chiesa, di un nuovo futuro, che ancora una volta non dipende da lei. La consolazione è tutt’altro che passività, chiede un atto di fede, chiede la parte di Maria: dare credito ancora una volta a ciò che appare umanamente impossibile. Come all’inizio.
“Le mie vie saranno elevate”: è vero che le strade sono aperte dal Signore, ma è anche vero che si tratta di strade di un altro ordine (“elevate”). Ciascuno di noi provi a pensare la consolazione di Dio in quel modo, così come ci arriva attraverso Maria. Le tribolazioni legate a vicissitudini, dolori, lutti possono sembrare degli inferi (lo diciamo: “La mia vita è un inferno!”). Nel salmo abbiamo pregato con queste parole: “Hai fatto risalire la mia vita dagli inferi, mi hai fatto vivere perché non scendessi nella fossa”. E subito il salmista aggiunge: “Hai mutato il mio lamento in danza”. Immagine efficace se pensiamo che il lamento accompagna un lutto, e la danza esprime la partecipazione di tutto il corpo alla gioia. Danzare la vita anche dentro l’esperienza della morte, sembra quasi irriverente per chi patisce un distacco. Invece dice l’effetto della consolazione.
Il cuore viene risollevato e può continuare a battere quando il Signore ci fa intravedere che la fine di qualcosa è l’inizio di qualcosa d’altro. Intuiamo che la consolazione aiuta a rivolgere lo sguardo in avanti; il dolore, al contrario, tende a ripiegare. Consolare è solo di chi può garantire che ciò che è accaduto non preclude un futuro. E questi non può essere che il Signore della vita e della storia.
Portiamo a Maria, allora, ogni nostra (personale e comunitaria) tribolazione e sofferenza. E la preghiamo perché tutte le persone tribolate incontrino per sua intercessione questa consolazione, che è la stessa con la quale lei è stata consolata sotto la croce. E in forza della quale può essere venerata e invocata come “Consolatrice degli afflitti”.




