S. Rita – 16.03.25

Gen 15,5-12.17-18

Fil 3,17-4,1

Lc 9,28-36

Desidero prima di tutto dare il mio particolare saluto di benvenuto alla delegazione di Cascia accompagnata dal sindaco, dal rettore del santuario e dal parroco. Mi devo scusare se nei giorni scorsi non ho potuto dedicarvi un po’ di tempo, perché in Visita pastorale. Questa mattina ho l’opportunità di presiedere questa celebrazione così significativa per il gemellaggio.

La seconda domenica di Quaresima ci immerge in uno degli episodi della vita di Gesù che deve essere stato qualcosa di indimenticabile e nello stesso tempo di enigmatico per i discepoli che lo hanno vissuto. Penso che abbiamo provato quella sensazione così strana che ti domandi alla fine se è proprio vero quello che hai vissuto, o se era solo un sogno. Pietro, Giacomo e Giovanni sono condotti da Gesù sul monte per pregare e in preghiera (Luca lo sottolinea con forza) Gesù appare trasfigurato davanti al loro sguardo in una luce sfolgorante, abbagliante, in uno splendore che sapeva di Dio. Della gloria di Dio. Eppure, ci sorprende la conclusione di quello che accade. Perché ci è detto che, quando la voce dalla nube viene meno, “restò Gesù solo”. Ai discepoli, che pure sono stati coinvolti in quella luce, alla fine rimane Gesù, solo Gesù, nella sua carne, nella sua umanità, con l’aspetto che conoscevano. Quello a loro familiare.

A ricordarci che Dio con la sua gloria rimane presente nell’umanità di Gesù. Un invito a prendere sul serio quello che continua ad accadere in quella umanità, che è anche la nostra umanità; a guardare Dio attraverso l’umanità di Gesù, ma anche attraverso la nostra, le nostre umanità. Perché in Gesù, nella misura in cui siamo uniti a Lui, la nostra umanità diventa un riflesso della gloria di Dio, della sua potenza, del suo Amore. Gloria che si rivelerà anche in quell’umanità sfigurata della passione e crocifissione di Gesù. Perché a questo dovevano essere stati preparati i discepoli. Vale a dire nel credere che quel Gesù che dovranno accompagnare fino al Calvario era la manifestazione della gloria di Dio.

La nostra umanità, quella bella e attraente, come quella tribolata, dolorosa, crocifissa, è la via della manifestazione della gloria di Dio.

E’ una grande rivelazione che i Santi hanno raccolto e manifestato in modo più trasparente. Ne è un esempio S. Rita. Sono andato a rileggermi la sua vicenda umana e spirituale che sorprende. Non può non sorprendere che in questa donna (teniamo presente che all’epoca la donna non aveva una grande considerazione) il Vangelo con la sua potenza abbia trasfigurato la sua persona e che attraverso di lei la gloria di Dio, l’amore e l’azione di Dio, continuino a raggiungere tante persone in ogni parte del mondo.

E’ diventata la santa dei ‘casi impossibili’. La santità è la forza che fa accadere ciò che sembra improbabile, se non impossibile. In S. Rita la forza sta nella potenza della grazia che non le appartiene. È a tutti gli effetti donna di speranza perché la forza è riposta in Colui per il quale nulla è impossibile, come annuncia l’angelo a Maria. Ed è questa la grandezza di Rita, di aver fatto più affidamento in Dio che nelle sue forze, in Dio che supera ogni calcolo di probabilità.

Ma oggi siamo qui per il gemellaggio tra due città: Cascia e Piacenza. Questo fatto ci ricorda una cosa importante: che la santità ha anche un valore politico. Cioè, riguarda non solo l’interiorità delle persone, ma insieme la convivenza civile, le relazioni. La santità è capace di permeare la vita di ogni tempo. Pur riconoscendo la complessità e diversità dei tempi, delle stagioni, della storia. C’è un’attualità, un valore, in essa c’è una sapienza e una potenza in grado di segnare la convivenza.

Una donna, S. Rita, che ha patito le conseguenze della violenza. Le ha patite su di lei, le ha patite nella sua famiglia, ma è stata capace di non lasciarsi catturare in essa, operando per interrompere questa spirale. Credo sia questo il grande messaggio che Santa Rita ci consegna: la violenza genera violenza, la provoca, la richiama, quasi la esige, ma ci può, ci deve essere qualcosa che la interrompa. C’è un Amore che non si arrende a questa logica. Ma la combatte. Va ricordata anche la sua opera di composizione dei conflitti, conflitti che generano facilmente divisione. Li compone cercando di starci dentro. Esponendo sé stessa.

Oggi sembra che i conflitti si possano affrontare esclusivamente con il riarmo. A prima vista è la strada più scontata, in apparenza sicura o, almeno, rassicurante. Ma in realtà è una strada sempre comunque illusoria, perché ci sarà bisogno di essere più attrezzato dell’altro. In una spirale infinita.

Una città, la nostra Piacenza, che ha scelto nella sua espressione democratica di associarsi a Cascia, città del perdono e della pace. Fa una scelta. Una scelta importante che può e deve sostenere le decisioni. Cara Sindaca Katia, da oggi Piacenza dovrà essere sempre di più la città dove è bandita l’espressione: “non è possibile”, dobbiamo cercare piuttosto la strada che rende possibili anche le cose che evidentemente non appaiono tali.

Ci affidiamo a S. Rita, perché tra noi e in noi cresca la stessa sua determinazione di credere e di sperare nel perdono e nella pace. Forse è il caso impossibile più grande, ma il più necessario. Allora come oggi.