OMELIA
1Sam 3,1-10.19-20 1Cor 6,13c-15a.17-20 Gv 1,35-42
Crediamo che il Signore, attraverso la Liturgia della Parola di questa domenica, ci indichi il senso, l’orientamento della Visita pastorale che stiamo per avviare e che avrà – come sarà raccolto nel segno che porremo alla fine della Celebrazione – come protagonista Gesù, con il suo Vangelo. Sarà Lui ad affiancarsi all’andare, mio e nostro.
La Parola del Signore, oggi, è un intreccio di chiamate: quella rivolta direttamente dal Signore a Samuele e quelle mediate da Giovanni Battista e da Andrea. Non solo. Il brano evangelico ci mostra che il passaggio del Signore non lascia le cose come prima, modifica chi incontra Gesù: gli dà un nome nuovo. Genera un’identità nuova e trasforma il modo di stare nel mondo, consegnando un compito per il bene di tutti. La fecondità della nostra vita e della vita della nostra Chiesa è possibile quando riusciamo a testimoniarci reciprocamente il fascino della persona di Gesù. La bellezza del Vangelo. Sappiamo come sia vero che la tiepidezza, a volte l’insignificanza delle nostre comunità, coincide con il fatto che non narrano l’incontro con Qualcuno.
È quanto ci viene descritto del tempo di Samuele. Un tempo appiattito, perché in quei giorni “la parola del Signore era rara”. Un modo per dire che era preziosa. Non assente. Poco pronunciata (dal Signore) o poco ascoltata (dal popolo)? Dal racconto di Samuele possiamo propendere per il fatto che non fosse riconosciuta. Non tanto dal giovane Samuele, quanto dall’anziano sacerdote Eli. I cui occhi “incominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere”. La cecità è una condizione esistenziale senza sguardo, senza futuro. Per di più, veniamo a sapere dalle parole del Signore, nell’ essere complice dei figli che si erano allontanati dal Signore, con comportamenti iniqui. Una fede compromessa dal venir meno della sua trasmissione tra generazioni. Eppure anche Eli diventa per Samuele strumento del suo aprirsi alla voce del Signore. Questa sì fedele, nonostante le resistenze del popolo. Eli inizia Samuele all’ascolto del Dio che parla.
La differenza tra il Dio dei patriarchi, del popolo di Israele e gli idoli è che questi “hanno bocca, ma non parlano” (Salmi 115,5;135,16). In ogni epoca il pericolo vero che viene alla fede è di trasformare Dio in un idolo, in un simulacro afono. Spesso il nostro rapporto con il Signore si riduce ad un parlargli, ad invocarlo per piegarlo ai nostri progetti. Padroni più che servi.
Ritornare a ripristinare la fede comporta la disponibilità a lasciarci svegliare, a non capire subito, a lasciarsi sorprendere. Siamo in grado di raccontare le sorprese di Dio nella nostra vita? Siamo disposti a credere che anche oggi per ciascuno e per la nostra Chiesa Egli ha una sorpresa da rivelarci, di cui renderci partecipi? Anche oggi la Parola di Dio è preziosa (nel senso che è rara). E non la possediamo. Ripetiamo anche noi con Samuele: “Parla, perché il tuo servo ti ascolta”.
Lo avverto vero prima di tutto per me. Pregate, allora, perché nell’avere occhi aperti e forti sappia ascoltare. Sarà inevitabile che nella Visita si moltiplicheranno le richieste di parlare, ma, come dice un midrash, che non mi dimentichi che Dio ci ha fatto una bocca e due orecchie perché l’ascolto sia due volte tanto il parlare. È quanto troviamo nel terzo canto del servo di Jahvé: “Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza” (Is 50, 4-5). Il visitare sia un esercizio di vero ascolto.
Il racconto dei primi discepoli nel IV vangelo è aperto dalla domanda di Gesù: “che cosa cercate?”. Che costituisce un’inclusione con la scena del mattino di Pasqua, nella quale a Maria di Magdala il Risorto, non ancora riconosciuto, chiede: “Chi cerchi?”. È la domanda che include l’intero cammino del discepolo, che interessa ogni figlio di uomo. Gesù anche a noi rivolge la stessa domanda. La rivolge anche a me, come discepolo che si mette al suo seguito, a me all’inizio di questa Visita pastorale: che cosa cerchi nel tuo cuore? Noi possiamo sperare di trovare ciò che cerchiamo veramente. In questi giorni ho fatto risuonare in me questa domanda, ed è uscita questa risposta: “cerco pagine di Vangelo”. Perché sono sicuro che il Signore mi/ci precede sempre. Nella nostra Comunità ecclesiale (e non solo) c’è tanto vangelo, ci sono segni del Regno. Negli Atti ci è raccontato che S. Paolo viene invitato ad avere coraggio perché, gli assicura il Signore, “in questa città io ho un popolo numeroso” (Atti 18,10). E con Paolo anche a me è chiesto di trovare questo popolo di Dio. E Gesù rinnova il suo invito: “Vieni e vedi!”. Si può vedere, ancora una volta, solo con Lui, con il suo sguardo.
In questo tempo Gesù ci mette di fronte ai nostri desideri, ci chiede conto di cosa, ciascuno di noi, cerca: io sacerdote, diacono, consacrato/a, uomo/donna coniugato/a o no. Cosa, chi cerco io giovane, bambino, anziano? Cerchi dalla parte giusta? Cerchi per trovare? Sei disposto a vendere tutto per ciò che hai trovato? Tutto quel patrimonio di sicurezze, di beni che stanno soffocando e intasando il cuore? Stiamo cercando o stiamo difendendo, tenendo stretto quello che possediamo?
Parto io, ma partiamo tutti con il desiderio di trovare ciò che stiamo cercando.
Partirò con un taccuino da viaggio nel quale mi piacerebbe che si scrivessero, Comunità dopo Comunità, gli Atti della Chiesa piacentina-bobbiese. Oggi. Atti che lo Spirito ispira alla nostra Chiesa. Fratelli, sorelle, mi affido alla vostra fraterna preghiera. Vi assicuro che, come sto già facendo, invocherò lo Spirito del Signore, che è Spirito di Amore e di comunione, perché illumini la mia mente, purifichi il mio sguardo, abiti le mie parole e renda saldi e coraggiosi i miei passi. Prego per tutti i nostri incontri, perché avvengano in Lui e con Lui. Il Signore ci benedica.
Cattedrale Piacenza – 14.01.24