GIOVEDI SANTO ‘23

Quella domanda che Gesù rivolge ai suoi, e a noi con loro, non ci è lecito lasciarla cadere senza una risposta: “Capite quello che ho fatto per voi?”. Mi verrebbe da dire che la risposta (cioè capire il mistero, la realtà più profonda di Gesù e del suo amore) richiede una esistenza intera. Risposte affrettate sono superficiali. Ci vuole tutta la vita per entrare nell’amore che stiamo celebrando. Per questo motivo ogni anno si ripete questo gesto, la celebrazione dell’ultima Cena, perché il suo pieno significato ci sfugge. Abbiamo bisogno di ripeterlo, di fare questo memoriale perché solo quando esso accade si apre uno spiraglio per intravvedere la sua grandezza.

Nella notte in cui veniva tradito”. Non è una notte come le altre questa notte. E non a caso proprio in questa notte egli consegna ciò che è unico. Se solo riandiamo con il pensiero allo stato d’animo di quando veniamo traditi, forse intuiamo la grandezza del gesto di Gesù. Il tradimento è tra le esperienze più mortificanti, che suscita ribellione, rabbia, un sentimento di ingiustizia e quindi un bisogno di reazione per ‘fargliela pagare’. Muore ogni buon proposito, che lascia il posto al ‘peggio-di-noi’. È questa la cornice umana di quella notte, il cui esito Gesù conosce bene. L’ha anticipata ai suoi. Ed invece Gesù risponde con un gesto (il pane e il vino e la lavanda dei piedi) che rimane come estremo atto di amore, allo stesso modo di come rimarrà il bacio di Giuda e il prezzo del suo tradimento, vale a dire il prezzo di uno schiavo. Se nella storia fosse rimasta unicamente l’amarezza, la tristezza del tradimento, non ci sarebbe stato giorno. Il buio, la notte nella quale esce Giuda dalla stanza del banchetto pasquale, non avrebbe più visto aurora, la luce di un nuovo giorno. Gesù combatte così il male: con un atto assolutamente gratuito di amore. La vita non gli è sottratta, la vita è donata, il suo corpo è dato.

La prima pasqua -ci è detto nel libro dell’Esodo- determina un cambio di calendario: “Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno”. Con la sua Pasqua Gesù inaugura i tempi nuovi, il tempo definitivo, dove l’amore (il suo) è l’inizio del tempo. Rimarrà presente in ogni tempo, in ogni stagione della vita. Ecco l’inizio del tempo nuovo: l’offerta della Sua vita che viene partecipata a tutti.

Stasera rinnoviamo il gesto di Gesù, in quella sera, nel quale raccoglie tutta la sua esistenza nel piegarsi a lavare i piedi. I piedi sono la parte più bassa di una persona e per raggiungerli c’è bisogno dell’atto di curvarsi, di abbassarsi. Ci si deve mettere in ginocchio: è la posizione che dice sottomissione. Ci si inginocchia davanti a Dio. E il Figlio di Dio si mette in ginocchio davanti all’uomo. Così lo eleva nella sua dignità. Ci eleva. Tutti. Indipendentemente dallo sporco dei piedi. E nel comando di fare altrettanto (“…anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”) ci indica la necessità di riconoscere la dignità dell’altro (chiunque egli sia) mettendosi a suo servizio. È straordinario il fatto che ci si eleva in dignità nel momento in cui ci si abbassa (perché così si assume la postura di Gesù nell’atto di amarci). Al contempo, Gesù riconosce a tutti la possibilità di fare altrettanto. Anzi lo comanda.

Questa sera ho scelto per la lavanda dei piedi delle persone migranti, che sono arrivate tra noi come continua a succedere ogni giorno. Noi scandalizzati e preoccupati per il loro arrivo più che per le cause che li spingono a partire. La scelta vorrebbe essere anche un richiamo al nostro santo vescovo Scalabrini. Una specie di raccolta del testimone per mantenere il suo stesso sguardo su ciò che segna il nostro tempo. Come ha segnato (a parti invertite) il suo.

Tuttavia la lavanda dei piedi non è un gesto unidirezionale. Non sarebbe evangelico. Non corrisponderebbe alle parole di Gesù. Se è vero che siamo invitati come Gesù a lavare loro i piedi, fuori metafora, a piegarci su di loro, a prenderci cura, a servirli, Egli ci comanda di lasciarci lavare i piedi a nostra volta. Cioè non sono solo loro ad avere bisogno di noi, anche noi riceviamo da loro quello che ci serve per essere amati. Gesù ci lava i piedi attraverso le loro mani, il loro cuore, la loro fede e la loro perseveranza.

Allora dico a voi, fratelli e sorelle che siete approdati in queste terre e in questa Chiesa, ricevete dignità anche nel gesto di donare. Non solo nell’assecondare la logica del bisogno (materiale), che vi spinge ad aspettare il nostro aiuto. Non accettate di cadere nella trappola di pensarvi solo bisognosi, solo oggetto – a buon diritto – della nostra accoglienza. Anche noi abbiamo bisogno del vostro amore e della vostra testimonianza credente. Anche voi avete il ‘dovere’ di lavare i piedi a noi, che avete incontrato in questo vostro approdo. E ogni volta che questo avverrà, sarà un vero e completo memoriale di Cristo e della sua Pasqua.